A proposito del pensiero
La nevrosi nasce dall'uso massiccio del pensiero, il quale nasce come strumento di problem-solving e non come strumento di difesa per proteggere da problematiche irrisolte che sfociano nella psicopatologia.
Vi siete mai accorti se dedicate troppo tempo a riflettere riguardo ai vostri problemi o preoccupazioni? Se la risposta è sì, significa che state cadendo nella trappola della ruminazione. Aristotele, sosteneva che, se esiste la soluzione a un problema non vale la pena di preoccuparsi, lo stesso dicasi, qualora non esistesse. Il pensiero è frutto del processo di evoluzione dell'uomo ed è un aspetto che differenzia la nostra specie da tutte le altre e si è concretizzato nello sviluppo cerebrale. Perché vi è stata l'esigenza di svilupparlo e a cosa serve? Il pensiero è nato, essenzialmente, da un'esigenza di problem solving, serve a risolvere problemi ed è questa la sua natura originaria e il motivo per il quale, nel corso dell'evoluzione l'uomo si è dovuto dotare di tale caratteristica unica, non accumunabile ad altro essere vivente. E' uno strumento e proprio in ragione di questo, può avere usi adeguati e inadeguati. Il martello si usa per piantare un chiodo o estrarlo, ma sappiamo benissimo che vi possono essere molti altri utilizzi, anche non leciti dello stesso strumento. Quando si usa il pensiero per regioni diverse per le quali è stato concepito, l'uomo, inevitabilmente, sviluppa delle abitudini e dei meccanismi anormali che possono sfociare nella psicopatologia. L'uomo, ha perso di vista, quale sia l'aspetto più autentico e pragmatico del pensiero, non a caso, nell'ultimo secolo e specialmente negli ultimi decenni, abbiamo assistito a un incremento vertiginoso delle patologie legate alla psiche. Freud fu uno dei primi a trattare l'argomento delle nevrosi, e al giorno d'oggi, diventa difficile pensare che esistano ancora uomini che ne siano totalmente esenti, in forma non patologica. Ciò che caratterizza la nevrosi, è la ricorsività del pensiero (nel senso della ripetizione), che indica la presenza di un'impossibilità a trovare un esito al pensiero stesso e l'emersione di altri pensieri che originano dalla conseguenza stessa di non riuscire a trovare una soluzione al pensiero originario. Ciò che s'innesta, quindi è una sorta di 'corto circuito', dal quale partono altre idee, che nascono al solo scopo di evitare che l'individuo consapevolizzi la mancanza di una soluzione al problema originario, in altre parole, in automatico, si creano nuovi problemi, perché così facendo, questi ultimi ci distolgono dal fatto di non essere stati in grado di risolvere quello iniziale e ben più importante. Tale manifestazione, ha una natura prettamente conservativa e adattiva, perché se ci accorgessimo di non avere risolto un problema, è evidente che questa consapevolezza, ci tormenterebbe. Molto meglio quindi spazzare la polvere sotto il tappeto, che fare i conti con questa angosciante verità, per questa ragione si mette in atto una rimozione. Il problema è che di tale meccanismo, noi non siamo consapevoli ed è questo che rende la nevrosi, un elemento tanto pregnante e difficile da combattere. Partire, quindi dall'idea che Aristotele aveva inizialmente, è un ottimo modo per cominciare a liberarsene. Certo, il pensiero può essere anche speculativo e intellettualistico, senza per questo avere i crismi di ossessività propri della psicopatologia e in questo caso si può parlare di pensiero 'benefico' o positivo. L'intero scenario scientifico e filosofico è basato sul pensiero speculativo e rappresenta la più alta forma ideologica dell'uomo e costituisce, di fatto, il sapere universale. Il pensiero a connotazione negativa invece ha un'elevata carica emotiva ansiogena che origina una forma di tensione, che attribuisce un carattere di urgenza alla risoluzione di un problema e ha una funzione di sopravvivenza. Spesso gli individui visualizzano la soluzione del problema tramite una risposta simulata sotto forma di pensiero immaginativo, in altre parole si anticipa un evento pericoloso per sé, allo scopo di prevenirlo, si pensi ad esempio alla preoccupazione scaturita dal mancato pagamento della bolletta del gas o dal timore di essere lasciati dal proprio partner dopo un violento litigio. La pericolosità di un evento temuto è del tutto soggettiva, per cui ciascuno di noi risponde in modo del tutto personale e non è possibile confrontare la percezione che si ha della situazione tra individui differenti. Cosa si può fare allora? La prima cosa che si può fare è pervenire a una forma di accettazione dei propri pensieri, senza essere giudizi inflessibili di noi stessi. La normalizzazione del giudizio su ciò che pensiamo, serve ad attribuire un carattere di neutralità ai pensieri e quindi ad abbassare la quota d'ansia legata agli stessi. Ciò che rende ricorsivo un pensiero, dipende dalla sua carica ansiogena e tensiva, quindi se la quota di preoccupazione si abbassa, ben presto si noterà che la frequenza di tali pensieri si abbasserà, fino a che scompariranno del tutto. Un altro modo efficace è la volontaria esposizione al pensiero disturbante, un meccanismo che porta a una desensibilizzazione sistematica nei confronti del pensiero stesso, si tratta di una pratica spesso utilizzata a livello terapeutico nel trattamento delle fobie. L'esposizione graduale all'oggetto fobico, infatti, determina è una neutralizzazione della fobia. Ad esempio, per chi ha paura dei luoghi chiusi (claustrofobia), gli si suggerisce di trascorrere del tempo in spazi ampi che devono restringersi gradatamente.
Bibliografia
Bensi, Marco; G., Baldi; M., Armando; C., Di Agostino - IL SOGNO DELLA FARFALLA - 2006.
I costrutti dell'ansia: obbligo di controllo, perfezionismo patologico, pensiero catastrofico, autovalutazione negativa e intolleranza dell'incertezza; Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero, Milano - 2002
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