24 AGO 2016
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Buongiorno Fra, a chi ha chiesto aiuto? E che tipo di aiuto? Queste sono informazioni importanti per cercare di risponderle in modo più preciso. Comunque, di per sè, il fatto che abbia pensieri esistenziali non è sbagliato. Eventualmente, può diventare disfunzionale al suo benessere quotidiano il "quanto" ci pensa. E questo è una delle pochissime controindicazioni, ad es., della psicoterapia. Ovvero, il fatto che essa renda molto più coscienti di prima le persone, fornendo loro (quando funziona) degli strumenti di pensiero più complessi ma che, ad un certo punto, diventano anche "automatici". Mi spiego meglio con un esempio estremo: se prima della terapia avevo una sintomatologia che mi faceva star male ma non sapevo perchè, dopo la terapia, tendenzialmente, la sintomatologia si è attenuata (almeno) ma so anche il perchè ho sofferto. Quindi riesco a contestualizzare molto più di prima e molto più repentinamente: ancora, se prima avevo paura degli ascensori e li evitavo chiedendomi perchè, dopo riesco a prenderli e mi dico che mi si è attivata l'ansia perchè il luogo piccolo mi fa sentire costretto ed imprigionato un pò come mi sto sentendo all'interno del matrimonio (o relazione con mia madre, o con la mia partner, etc.). Questa catena, tuttavia, non finisce qui.Quando vedo una persona che sta male, ad es., perchè non può prendere gli aerei, allora, quasi automaticamente, comincio a pensare: beh, forse quella persona sta andando in un posto che, emotivamente, lo fa stare male, ma ancora non lo ha capito (oppure, sta venendo da un lavoro che è stato obbligato a terminare e solo ora può permettersi di far uscire il suo malessere emotivo, oppure la carlinga dell'aereo lo fa sentire come in un posto poco controllabile e dove lui può decidere ben poco e questo lo attiva, etc.). Insomma, appena si vede una persona ed un evento, comincia subito quella che, personalmente, chiamo la catena di S. Antonio terapeutica, ovvero tutti questi pensieri uno dietro l'altro. Solo che noi terapeuti, facendolo di lavoro ed avendo fatto formazione e terapia personale, riusciamo a gestire queste cose (questa risorsa ci serve, soprattutto, fuori dal nostro studio), i pazienti un pò meno. Anche per questo, dunque, la fine di una buona terapia dovrebbe prevedere un'allenamento, formazione o, almeno, un'indagine sul paziente, da parte del clinico, per cercare di fargli mantenere la sua immediatezza di vita, il suo esperire automatico emotivo e che si può "essere" e "stare" anche senza sapere, sempre, "perché".
Buona fortuna
dott. Massimo Bedetti
Psicologo-Psicoterapeuta
Costruttivista-Postrazionalista Roma