Sono una ragazza di 21 anni che non ha mai concluso niente nella vita, tutti i miei "successi" li ho ottenuti senza sforzo, non mi sono mai impegnata seriamente in qualcosa, mi perdo nei pensieri e nel mio mondo, la costanza non so cosa sia, da sempre. Ho sempre cercato di "attivarmi", svegliarmi e realizzare qualcosa di mio impegnandomi (tipo imparare a suonare l'ukulele o fare la spaccata) e sono felice quando comincio un nuovo progetto e mi sento motivata e piena di energie ecc.. ma ogni volta, a un certo punto smetto tutto, accantono qualsiasi cosa, come se perdessi completamente l'interesse in ciò che avevo iniziato, poi dopo un pò mi "risveglio" e mi sento tremendamente in colpa per non aver continuato e mi deprimo, divento triste, mi dico che sono un fallimento; poi dopo un pò di tempo mi viene in mente qualcosa che mi piacerebbe fare e ricomincio tutto da capo e ogni volta va a finire sempre nello stesso modo, non concludo mai niente . E' solo una questione di pigrizia? Sono io che non mi impegno abbastanza? Dovrei considerare l'idea di andare da uno psicologo (in carne ed ossa) e fare un percorso che possa aiutarmi? Voglio davvero cambiare ma da sola non ci riesco, sono l'unica che ha questo tipo di problema?
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22 GIU 2020
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Buonasera Sara. Sembra che Lei faccia progetti che non riesce a mantenere, salvo poi sentirsi in colpa e svalutarsi per questo. Il significato che attribuisce a questi cicli di "attivazione" e "accantonamento" è pigrizia e scarso impegno, ma Lei stessa, in fondo, trova questa spiegazione insoddisfacente (nonché peggiorativa del Suo già scarso senso di autoefficacia e valore personale). Evidentemente, a un certo punto accade qualcosa. Naturalmente questo va declinato nella Sua storia di vita e indagato nella Sua quotidianità, motivo per cui un colloquio personalizzato sarebbe di sicuro giovamento. E' possibile che questi progetti siano per Lei, in fondo, poco definenti e identitari, motivo per il quale non reggono il senso di sè a lungo. Forse deve solo ricercare un progetto che sia per Lei identitario e autentico e che Le consenta, sul lungo periodo, di mantenersi e di sentirsi (capace, realizzata, serena), ovvero, di definirsi, rispondendo alla domanda "chi sono io "... che alla Sua età è più che mai legittima. Lei si racconta, oggi, come un fallimento, una persona che non ha concluso nulla. La rinnovata progettualità, insieme con la corretta rifigurazione di alcuni significati che Lei non coglie, consentirebbe di modificare tutto questo. Provi a contattare un professionista, il percorso non è in direzione di una "modifica di un malfunzionamento" quanto, piuttosto, di una ricerca autentica di sè in vista di un maggior benessere. In bocca al lupo, a disposizione, DP
17 GIU 2020
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Buongiorno Sara.
Non è questione di pigrizia né di scarsa motivazione, che mi pare invece, seppur inizialmente, lei profonda con generosità. Ma per quanto si possa essere motivati ed energici non si può incanalare parte di un fiume a mani nude. Provo a spiegarmi.
Se l’uomo fosse solo genetica non avremmo che da attendere di diventare ciò che siamo biologicamente programmati ad essere. Invece, a differenza di quel che spesso si crede, diventare se stessi è una gran fatica fatta di sfide, dubbi, timori, conflitti, separazioni (ma anche soddisfazioni, gioie, incontri...). Diventare chi si è un lavoro di scoperta ma anche di costruzione, e di rinunce ad altre possibilità. Perchè potremmo essere tante cose ma esserne alcune comporta rinunciare ad altre: è già questa è una scelta da far tremare i polsi. Da fare neppure sapendo se chi saremo domani sarebbe d’accordo sulle scelte da noi fatte oggi.
E’ possibile che lei si senta un po’ in stallo nel capire chi davvero è (perché ciò che è ancora in potenza e in quanto tale un po’ nebbioso). Oppure il non portare a termine nulla, come lei scrive, potrebbe essere dettato dalla paura a rinunciare a tutto il resto. Si potrebbe continuare con diverse altre ipotesi. Non si può appurarlo qui ma solo in una relazione diretta. Credo che le gioverebbe una relazione con una/o psicologa/o per cominciare a ragionare sul significato delle sue difficoltà nel definirsi e contemporaneamente, cominciare a farlo, come facilmente accade in una relazione significativa in cui con l’altro più facilmente si finisce con l’essere alcune cose e non altre. Una relazione con uno specialista le renderà più comprensibili certe sue motivazioni inconsapevoli e al contempo le farà appurare nel vivo di una relazione alcuni aspetti di chi lei sente di essere rispetto ad altre che meno probabilmente sembrano appartenerle. Viceversa il rischio è che il senso di colpa di cui accenna nonchè la tendenza che traspare a giudicare se stessa, diventino un centro di gravità più forte del senso di sé che sta faticosamente costruendo. Che questo finisca quindi per farla sentire più sfilacciata che ora rischiando d’innescare un circolo vizioso che sarebbe meglio spezzare sul nascere. Se le fa piacere mi faccia sapere.