Salve,
è vero che, terapeuta paziente, non possono frequentarsi ed incontrarsi al di fuori dello studio dello specialista? Non possono, ad es.,andare a mangiare una pizza insieme, fare una passegiata,interagire su dei social-network?
È vero che,terapeuta e paziente, non possono abbarciarsi,coccolarsi,scambiarsi gesti di affetto; come, ad es., farebbero un padre ed un figlio?
È vero che, il paziente, in una sorta di transfert,può nutrire affetto nei riguardi del terapeuta; ma, quest'ultimo, deve evitare il contro-transfert; affinché le sedute non risultino alterate?
Se, il paziente, in una sorta di transfert, vuole bene al terapeuta, come fosse il padre; è opportuno che ne parli col terapeuta stesso. Senza temere di essere scacciato dal setting terapeutico?
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17 LUG 2012
· Questa risposta è stata utile per 53 persone
Salve, qualcuno mi aiuti sono disperata, dopo 15 sedute con il mio psicologo ho iniziato a provare dei sentimenti nei suoi confronti. Durante una seduta non riuscivo più a parlare della mia vita e delle mie difficoltà, ma avevo solo un pensiero dirgli quello che provavo. Bene è successo. Da quel giorno lì quando lo vedo provo una gran imbarazzo e questo sta compromettendo la terapia. Premetto che lo penso dalla mattina alla sera. Sto seriamente pensando di interrompere la terapia, malgrado mi faccia soffrire parecchio il solo pensiero di non vederlo più. Sono grave? Grazie....
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38 Risposte
29 OTT 2024
· Questa risposta è stata utile per 0 persone
Salve Claudio,
è effettivamente importante mantenere una giusta distanza nel rapporto fra paziente e terapeuta: tale spazio è quello che permette alla terapia di proseguire e di riconoscere le dinamiche ed i vissuti profondi del paziente. Ciò detto, tutte le emozioni - comprese quelle di transfert - meritano di essere discusse nello spazio di terapia, così come i dubbi circa la relazione terapeutica: tutti questi sono preziosi elementi che potranno permettere al professionista di comprendere meglio l'andamento del percorso e la comparsa di dinamiche inconsce.
Dott.ssa Alessia Foronchi
13 DIC 2018
· Questa risposta è stata utile per 1 persone
Gentile Claudio,
una certa distanza fra paziente e terapeuta è bene mantenerla, come negli esempi da lei citati. Se però, venendo a quello che ha scritto, il paziente manifesta quel transfert verso il terapeuta è bene che ne parli per dargli significato.
9 APR 2018
· Questa risposta è stata utile per 3 persone
Salve Claudio,
i sentimenti provati dal paziente nei confronti del terapeuta possono ricordare la relazione padre-figlio (o madre-figlia), dove il terapeuta assume un ruolo genitoriale nella mente del paziente, con il/la quale rivivere il rapporto. Pertanto, l’innamoramento verso il terapeuta è una forma particolare di transfert e rappresenta un possibile “effetto collaterale” della psicoterapia, anche se non succede a tutti ed in tutte le situazioni terapeutiche.
Questi sentimenti di traslazione devono essere considerati come ulteriori dati forniti dal paziente, che il terapeuta deve integrare e capire , allo scopo di facilitare il processo di guarigione del paziente.
14 OTT 2017
· Questa risposta è stata utile per 3 persone
Il rapporto terapeuta paziente deve mantenersi ad un livello di inviolata professionalità.
Solo in questo modo si fanno riemergere modelli di rapporto del proprio passato.
14 AGO 2017
· Questa risposta è stata utile per 25 persone
Gentile Claudio
Le sue domande sono estremamente lecite, concrete, reali e assolutamente necessarie, perchè spessissimo il confine tra terapia e semplice affetto per il terapeuta (e per la persona che viene aiutata) è labile e a mio avviso da determinare.
La storia della psicanalisi è intrisa di storie d'amore tra pazienti e terapeuti, di rapporti in cui il confine non era definibile.
Credo che la cosa più importante sia la consapevolezza del terapeuta, è lui (in teoria) che dovrebbe tenere il timone affettivo della relazione, di ciò che sta accadendo.
Lei parla di un rapporto molto puro, tra paziente e terapeuta, padre e figlio. A mio avviso ritengo che il setting sia nel terapeuta e non in ciò che fa o nei vincoli che pone da ortodossia. Cosa voglio dire? che le variabili sono tante, l'età del paziente per esempio. Personalmente non posso pensare di chiedere ad un ragazzo di 15 anni in terapia la stessa distanza e autonomia che posso chiedere ad un signore di 50 anni, affermato e con un'identità forte e consolidata. Il confine è labile e credo che il"termometro" di ciò che è giusto o sbagliato chiunque ce l'abbia dentro di sè. Lei sa (sente)se il suo terapeuta sta abusando del suo affetto, se è un affetto genuino, e può accadere che ci sia e che il rapporto che lega il terapeuta alla persona aiutata sia più manifesto, anche con un abbraccio.
é impossibile demarcare un confine reale, si può essere molto intimi dandosi del lei senza stringersi nemmeno la mano come si può essere distanti emotivamente "usando" abbracci e cenando insieme.
Freud aveva messo dei paletti molto rigidi perche non si fidava dei suoi allievi (discepoli), ma lui offriva cene, sigari, faceva passeggiate con i pazienti.
Terapeuta e paziente sono due persone, identiche , in una relazione asimmetrica data dal bisogno di uno e dall'offerta di supporto dell'altro.
Parli serenamente con il suo terapeuta di tutto ciò che sta attraversando, sono sicuro che sarà la chiave di volta per crescere emotivamente e fare un salto di qualità nel rapporto terapeutico, che si fermi in studio o continui con una pizza (quando sarà tutto svelato e limpido).
6 LUG 2017
· Questa risposta è stata utile per 6 persone
Gentile Claudio,
la sua domanda mi sembra interessante.
Posso chiederle perché si domanda se è vero che terapeuta/paziente non possono frequentarsi ed incontrarsi al di fuori dello studio dello specialista?
Perché teme di essere scacciato dal setting terapeutico se rivolge questa sua domanda al terapeuta?
Posso chiederle chi è per lei il suo terapeuta?
La professione dello psicologo è regolamentata da un codice deontologico. Una delle regole deontologiche vieta allo psicologo di frequentare i pazienti che ha in cura.
Al di là della questione deontologica la sua domanda potrebbe aprire ad un'altra questione riguardante la sua relazione con suo padre. Il terapeuta, infatti, secondo la teoria psicodinamica, sarebbe un rappresentante di una figura significativa per il paziente e sul quale il paziente stesso proietta i suoi pensieri e le sue emozioni.
Spero di aver risposto almeno in parte alla sua domanda.
3 GEN 2016
· Questa risposta è stata utile per 14 persone
Caro Claudio
spero che, in questo arco di tempo la situazione problematica sua personale sia un po' rientrata e che la tua psicoterapia sia stata conclusa in modo positivo.
Credo che l'esperienza che ha provato sia stata molto forte ma, se ben condotta dal terapeuta, è possibile che abbia portato esito positivo.
Mi sono imbattuta nella sua lettera e la questione mi ha interessato molto.
Certo che le espressioni di intimità sono proibite dal codice deontologico e questo è a tutela del paziente che si trova in terapia e a salvaguardia del terapeuta stesso; entrambe lavorano alla soluzione dei problemi posti attraverso l'alleanza terapeutica, che prevede accordo, collaborazione ma non è un rapporto di amicizia e di amore.
A suo tempo lei, a mio parere, ha fatto la cosa giusta parlando dei suoi sentimenti al terapeuta.
Nonostante le difficoltà questa era la strada da percorrere.
Spero la terapia sia andata a buon fine attraverso l'elaborazione di questi vissuti trasferali.
Un caro saluto.
Dott. Silvana Ceccucci Psicologa Psicoterapeuta
23 SET 2015
· Questa risposta è stata utile per 23 persone
Buonasera Claudio, con la sua domanda ha, involontariamente certo, aperto una specie di vaso di Pandora di risposte dei colleghi. Si va dal non dare neanche il Tu (a meno che non siano bambini) ad andare a mangiarci una pizza con il paziente, tuttavia senza sesso alla fine, perché sarebbe una grave violazione deontologica. Mi perdoneranno i colleghi (sono certo di no), se banalizzo in questo modo tutta questa mole di risposte. Il tema che Claudio ha posto è antico quanto la Psicoanalisi che, per prima, credo, si sia posta tale problema. Io credo che noi specialisti, tuttavia, la facciamo molto più complessa di quello che è tale faccenda. Abbiamo un codice deontologico (che non significa che tutto che quello che vi è scritto sia giusto, ma lo dobbiamo seguire alla lettera, secondo le indicazioni degli Ordini Professionali) che ci dirime molte questioni che, altrimenti potrebbero essere vissute come ambigue. Il cambiare strada se a 100 metri vedo un mio paziente, secondo me, denoterebbe una mia forte rigidità e non capacità gestionale dell'evento. E chi mi assicura che se non ci riesca fuori dal setting terapeutico, ci riesca dentro? Mangiare una pizza con lui, per me, sarebbe troppo e, comunque, deontologicamente non corretto, a prescindere da nuove informazioni che potrei ricevere dal paziente. Ma le informazioni che mi riguardano personalmente, che direttamente o indirettamente, gli potrei lasciare, non sarebbero altrettanto importanti, se non più? Questione del Tu in terapia, altro "dogma" di cui si parla spesso. Ci sono dei Tu che valgono non un Lei, ma quasi un Voi (nel senso di distanza psico-emotiva che si portano dietro) come dei Lei che valgono un Tu troppo amicale. Dunque, in questo senso, io mi regolo non sul Tu o sul Lei, quanto sulla mia autorevolezza all'interno del setting: se il paziente ha la mia età o più piccolo, spesso, quando mi viene richiesto, accetto di relazionarci con il Tu. Altrimenti, se il paziente è più grande, a parte rarissime eccezioni, ma non accetto il Tu e preferisco il Lei (ma queste sono tutte considerazioni che riguardano la mia storia di sviluppo, né il Codice deontologico, né l'Ordine degli Psicologi, o quello Nazionale, o altro. Molti colleghi si comportano in modo diverso e non c'è un modo giusto o sbagliato, parlo sempre della "concessione" del Tu, ma il nostro modo particolare).
dott. Massimo Bedetti, Psicologo/Psicoterapeuta,
Costruttivista Postrazionalista-Roma
1 SET 2015
· Questa risposta è stata utile per 28 persone
Gentile Claudio,
il codice deontologico degli psicologi, ossia la guida per il comportamento a cui devono attenersi obbligatoriamente gli psicologi, afferma che è una grave violazione per lo psicoterapeuta lavorare con “persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale”.
Non si spaventi per aver provato forti sentimenti verso il suo terapeuta, se condivisi con il suo terapeuta, questi potrebbe essere un'utile elemento per approfondire le relazioni affettive della sua vita.
Cordiali saluti
Dott.ssa Monica Salvadore
26 AGO 2015
· Questa risposta è stata utile per 23 persone
Gentile Claudio,
il rapporto terapeuta-paziente è regolamentato dal codice deontologico dell'Ordine degli Psicologi. Sicuramente il/la terapeuta che intrattiene rapporti sentimentali o sessuali con il/la paziente commette una grave infrazione al codice ma soprattutto dimostra di non essere all'altezza di questa bella e delicata professione.
Il setting, cioè la cornice formale entro cui si deve svolgere la psicoterapia, è fondamentale per non compromettere la stessa. Tutt'altra cosa è il voler bene al paziente in quanto persona più fragile che si affida per essere aiutato a superare i suoi problemi ma, anche in questo caso, l' "empatia" del terapista deve essere alternata alla "congruenza" che non è a lui altrettanto bene accetta ma serve per la sua crescita.
Tenga inoltre presente che il transfert oltre ad essere positivo può essere anche negativo e così pure il controtransfert; il primo può essere utilizzato per ottimizzare la terapia e il secondo deve essere più che altro gestito e controllato dal terapista.
Chiarito questo, qualche piccolo margine di elasticità ci può anche stare nei limiti del buon senso e della professionalità dello psicologo; così, ad es., come diceva un mio collega, incontrare casualmente per strada o al bar un proprio paziente non richiede certo di cambiare strada o uscire di corsa dal bar per evitare qualche parola di saluto.
Spero, insieme ai miei colleghi, di esserle stato utile e aver risposto alle sue domande.
Cordiali saluti.
Dr. Gennaro Fiore
medico-chirurgo, psicologo clinico, psicoterapeuta a Quadrivio Campagna (Salerno)
15 GIU 2015
· Questa risposta è stata utile per 7 persone
Gentile Claudio, la relazione terapeuta - paziente deve unicamente riguardare il setting terapeutico. E' comunque opportuno che lei ne parli in seduta per continuare il suo percorso terapeutico nel migliore dei modi.
Cordiali saluti
Dott. Alessandro Bertocchi
Bologna
14 MAG 2015
· Questa risposta è stata utile per 26 persone
La questione dei rapporti fuori seduta o dell'agire sentimenti di amore ( o di odio ! ) in seduta è una vecchia e controversa storia.
Io so che il punto fondamentale è che il terapeuta sia ben consapevole di quello che succede. Ossia che sappia che c'è un limite invalicabile. Lo scopo dell'analisi è comprendere emotivamente e poi magari anche intellettualmente, le ragioni del nostro agire e sentire. E' questo che ci rende liberi. Freud soleva dire che chi non ha superato il proprio passato è costretto a ripeterlo.
Ciò detto e premesso non vedo perchè non si potrebbe fare una passeggiata o mangiare un pizza insieme. Freud lo faceva normalmente con i suoi pazienti.
Anzi questo può portare nuovo materiale su cui lavorare in seduta.
Invece avere rapporti sessuali con il proprio paziente è un evento molto grave, forse il più grave sbaglio in cui possa incorrere uno psicoanalista.
Mentre avere sentimenti di affetto, di amore, di attrazione fisica per il proprio analista è comune e non è una colpa. Anzi dimostra che la corrente di comunicazione inconscia tra di loro è forte. Quando mi accade io, come analista, dico ai miei pazienti che è una cosa bella e che dobbiamo utilizzare questa grande energia per aiutare ed agevolare il processo analitico.
Non mi è mai successo di cadere in questo grave errore. Ma siamo esseri umani e anche l'analista non è un dio e può sbagliare, magari per momentanea debolezza.
Certo è molto difficile riprendere poi una sincera e onesta alleanza terapeutica.
Eppure anche l'analista deve accettare che il suo grave errore non deve essere negato. Deve capire perchè e fare i conti molto bene con se stesso. E magari farsi aiutare in questo da un bravo collega. Sono i famosi controlli.
29 MAR 2015
· Questa risposta è stata utile per 12 persone
Salve Claudio,
la relazione terapeuta-paziente è, di per se', una relazione di cura. Una relazione tra un professionista sanitario a tutti gli effetti e il richiedente, una persona bisognosa, in difficoltà, con una richiesta ben precisa. Questo non vuol dire che ci debba essere distacco o freddezza, anzi... ma mantenere il setting il più possibile terapeutico è indispensabile affiché' il professionista riesca a svolgere al meglio il suo ruolo. Qualsiasi contatto che esula dal setting terapeutico è elemento di possibile modifica dell'equilibrio, delle proiezioni ma anche dell'idealizzazione reciproca. La relazione, in definitiva si trasformerebbe in "altro". Per lo stesso motivo, noi psicologi non possiamo lavorare con persone che conosciamo, o che ci sono vicini affettivamente.... proprio perche' "l'altro" che ci lega potrebbe interferire con la vera e autentica relazione d'aiuto. La domanda che dovrebbe farsi, a mio parere è perche' sente l'esigenza (se così fosse) di instaurare vicinanza fisica ed emotiva col suo terapeuta.
20 OTT 2014
· Questa risposta è stata utile per 9 persone
Potrei aggiugere un caso analogo a quello di Claudio? Uno psicologo serio e ben informato mi risponda per favore!
Cosa succede se paziente e terapista iniziano una relazione d'amore...(durante la terepia, permettetemi il beneficio del dubbio in qualità di ex moglie che faceva terapia di coppia con questi due soggetti), o dopo la terapia?
E' sufficiente mettere un puntino alla terapia e giustificarsela dicendo "eh, che ci vuoi fare, è capitato!"
E se fosse anche stato coinvolto un minore?
Qualcuno mi direbbe cosa fare al posto mio?
Non avevo fiducia nella psicologia e ora men che meno!
Aiutatemi per favore!
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Grazie per la tua valutazione!
6 OTT 2014
· Questa risposta è stata utile per 11 persone
Buongiorno Claudio,
Si, è vero, per il buon esito della terapia è bene che terapeuta e paziente non intrattengano relazioni di alcun tipo (amicali, sessuali, affettive) fuori dal setting terapeutico. Questo limite è finalizzato al benessere del paziente stesso ed è regolamentato anche dal codice deontologico degli psicologi, quindi se lei è in terapia e si trova in un situazione simile con ogni probabilità il suo terapeuta sta agendo correttamente.
Può accadere che un paziente sviluppi in terapia desideri di accudimento, vicinanza, amicizia, verso il terapeuta, cosi' come può accadere che il terapeuta provi sensazioni ed emozioni verso il paziente. La cosa più naturale e importante da fare in questi casi è parlarne direttamente e serenamente con il terapeuta: anche se potrebbe risultare strano, l'analisi di questo processo è parte integrante della terapia e se ben gestita porterà notevoli giovamenti al paziente.
Saluti
1 OTT 2014
· Questa risposta è stata utile per 8 persone
sono stata in cura da un terapeuta e non ho provato nessuna sensazione di cui parli, anzi non vedevo l'ora che finisse, a volte non riuscivo ad esprimermi come faccio di solito, in compenso la terapia mi ha aiutata.
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15 SET 2014
· Questa risposta è stata utile per 9 persone
Le domande sul rapporto terapeuta-cliente per me sono sempre molto interessanti, perche ho sperimentato la questione sia da paziente (in terapia come previsto dal mio percorso formativo), sia da terapeuta.
Le dinamiche di transfert-controtransfert sono molto attive nella relazione terapeutica, e spesso sono la chiave per la risoluzione di situazioni conflittuali del paziente.
non bisogna dimenticare che il terapeuta non è nè un amico, nè un confidente, ma un professionista il cui compito è aiutare la persona a raggiungere uno stato di benessere, o addirittura operare una vera e propria restaurazione della personalità.
personalmente e professionalmente apprezzo e valorizzo l'onesta e la sincerità del legame profondo che riesce a creare un terapeuta che sfugge alla collusione con la richiesta di "amico a pagamento".
11 AGO 2014
· Questa risposta è stata utile per 8 persone
Buonasera,stò attraversando lo stesso problema e mi trovo molto confuso,anzi se fosse possibile avere dei pareri a riguardo
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28 MAG 2014
· Questa risposta è stata utile per 10 persone
Verissimo, un P e un T non possono avere rapporti al di fuori dello studio e del setting. Però senza esagerare, se mi trovo al bar sotto lo studio e vedo un paziente che è in attesa proprio li davanti, lo invito a prendere un caffè ... Il paziente può volere bene al terapeuta ma anche il terapeuta vuole bene ai propri pazienti. Io ad esempio voglio bene a tutti i miei pazienti, ma anche qui, bisogna fare molta attenzione a non confondere il tipo di sentimenti. I sentimenti amicali, amorosi o cose simili vanno gestiti e interpretati nella dinamica paziente analista - transfert-controtransfert e comunque sempre affrontati nel corso della terapia.
Non dobbiamo dimenticare che il transfert è utilissimo alla terapia, sia se esso è positivo sia se è negativo.
27 DIC 2012
· Questa risposta è stata utile per 20 persone
Buonasera... io parlo da paziente anzi EX paziente... gli psicologi veri quelli che fanno il loro mestiere con passione e amore al solo scopo di stare vicino ascoltare consigliare il proprio paziente sono molto ma molto rari da trovare e sono quelli che quando sanno che il proprio paziente compie gli anni gli mandano un sms di auguri sul cell sono quelli che quando il proprio paziente è disperato dalla paura di non farcela gli mettono una mano sulla spalla e gli dicono non preoccuparti sono qui io x aiutarti sono quelli che quando ti viene una crisi di panico in studio fanno di tutto x farti tornare il sorriso sono quelli che quando gli dici che l'indomani opereranno il tuo cane ti dicono di mandargli un sms dicendogli come è andato l'intervento..... sono molto ma molto rari da trovare anzi come psicologi mi sa che sono estinti (esperienza personale!!!).... caro claudio prova a rivolgerti a un counselor hanno tutta un altra mentalità e modo di lavorare degli psicologi ti troverai molto più capito e apprezzato che non da uno psicologo e non ti verranno nemmeno più in mente queste domande non sentirai piu il bisogno che uno psicologo ti dia l'affetto di un padre xke lui ti apprezzerà come persona e anche x te sarà uguale.... anche li xo cerca la persona giusta quella che più ti corrisponde come carattere anche!!! in bocca al lupo
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4 SET 2012
· Questa risposta è stata utile per 14 persone
Io penso che per aiutare il prossimo si deve dare anima e cuore, non si puo aiutare il prossimo con la certezza di un rapporto freddo, perchè sarebbe controproducente e antisociale; per lavorare con la gente è fondamentale creare un rapporto basato sull' impegno sociale e sulla ricerca di cose nuove che possano creare la condivisione di gioie tra il terapeuta e il paziente.
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29 MAG 2012
· Questa risposta è stata utile per 8 persone
Buongiorno Claudio,
come già ampiamente sottolineato dai miei colleghi precedenti, non può esistere una relazione di tipo personale tra paziente e psicoterapeuta, ma solo "professionale". E' indispensabile che non vi siano relazioni amicali o sentimentali ai fini dell'efficacia della terapia; quindi al di fuori del setting dello studio non si possono frequentare, andare a cena o a bere il caffè......ovviamente è possibile che il paziente provi sentimenti/emozioni verso il terapeuta, in questo caso è meglio parlarne direttamente in terapia.
Saluti,
29 MAG 2012
· Questa risposta è stata utile per 12 persone
QUANTO SCRITTO ("è vero che..") E' CONFORME AL codice deontologico degli psicologi che viene condiviso pure a livello internazionale tuttavia quanto scritto rientra anche nel codice etico di chi svolge la professione delicata di psicoterapeuta. In ogni caso per evitare incomprensioni ed eventuali ambiguità è sempre bene parlare col proprio psicoterapeuta delle proprie posizioni: sentimenti e pensieri sulla relazione impostata
dr zucconi a udine
29 MAG 2012
· Questa risposta è stata utile per 7 persone
Gentile Claudio,
quello che scrive è tutto vero. La psicoterapia, di qualunque approccio sia, vieta qualsiasi rapporto intimo come quelli che ha descritto. Questo per una questione tecnica. Il terapeuta deve cercare di essere il più neutrale possibile al fine di favorire il transfert del paziente. Se rispondesse al questo transfert non si tratterebbe più di un terapeuta dato che non avrebbe più la possibilità di aiutare il paziente stessa. Inoltre, i contatti che ha descritto dovrebbero essere ofggetto di segnalazione all'ordine di appartenenza del terapeuta perchè scorretti. Saluti cordiali