Acrofobia: l’altezza che affascina e terrorizza

Perché possiamo provare paura dell’altezza? Cosa possiamo fare per affrontare questa fobia? Scopri le sue cause e il suo trattamento principale.

19 DIC 2023 · Tempo di lettura: min.
Acrofobia: l’altezza che affascina e terrorizza

Nonostante l’uomo sia alla continua ricerca delle altezze, queste rappresentano il primo oggetto fobico tra la popolazione mondiale. Scopriamo perché

Fobia delle altezze, tra fascino e horror vacui  

Ogni elemento o situazione esistente,  conosciuta o conoscibile, può costituire oggetto di fobia, intesa come paura  irrazionale e spropositata al presentarsi di  una precisa circostanza. Tra queste, una delle più ricorrenti è, senza dubbio, l’acrofobia. Come  suggerisce l’etimologia della parola, dal  greco antico ἄκρον (ákron), ovvero  sommità e φόβος, (phóbos), paura, consiste nella paura delle altezze e si  manifesta attraverso il timore di affacciarsi  da un luogo elevato o di subire la  tentazione di lasciarsi cadere nel vuoto.  

Ma perché l’altezza spaventa così tanto?  Se da una parte la fascinazione per le altezze ha storicamente sospinto l’uomo a  inventare e costruire nuovi macchinari e strutture all’avanguardia per raggiungerle e dominarle (come, ad esempio, aerei, grattacieli e così via), ma anche a sfidarle  (si pensi agli sport che utilizzano proprio l’altezza come parametro agonistico,  oppure, più semplicemente, il comune  estro di tuffarsi da una scogliera al mare  d’estate), dall’altra può essere fonte di  sgomento e riluttanza. L’altezza - e si ritornerà su questo fondamentale concetto - rappresenta un pericolo per l’incolumità  e la vita, perché, si sa: qualora non ci si  trovi a diretto contatto con il suolo, vi è  comunque il rischio di precipitare nel  vuoto, il che, molto spesso, si rivela  esiziale.  

Già a partire dalla preistoria si è fatto uso dell’altezza per proteggersi dai predatori, ma il sistema percettivo ha contestualmente sviluppato un meccanismo di tutela nei confronti della stessa: qualora ci si fosse addormentati su  un albero, una specifica area cerebrale attivava un riflesso percepito come “scossa” al fine di provocare il risveglio ed  evitare la caduta (si è anche supposto che  lo spasmo ipnico - la sensazione di cadere che si può avvertire durante il sonno, per  intendersi - ne sia il retaggio). Un istinto  che da sempre la ricerca e allo stesso  tempo la allontana.  

Altro elemento determinante è stato  l’horror vacui, la paura del vuoto.  Negato dalla fisica aristotelica, secondo la  quale in natura ogni spazio è occupato da  un elemento, sia esso visibile o invisibile, il  vuoto rappresenta l’ignoto. Il vuoto dove nulla è, dunque tutto è  possibile e, per questo, sfugge al controllo.  E quindi sfugge al controllo uno spazio  troppo ampio che si apre davanti a sé, così  come lo spazio sottostante ad un affaccio: questo processo ha contribuito allo  sviluppo dell’agorafobia, oltre che  dell’acrofobia. Ed è proprio per sopperire  all’esigenza di colmare il vuoto che l’uomo  si è espanso nelle varie dimensioni,  sfruttando anche l’area sovrastante e  dando vita a quello che potrebbe sembrare  un conflitto irrisolvibile.  

A porvi rimedio, la psicoterapia:  strumento d’eccellenza per il trattamento  dell’acrofobia e dei disturbi fobici è la  Terapia Breve Strategica (TBS), ideata da  Giorgio Nardone e Paul Watzlawick, su cui  si tornerà in seguito.

Eziologia, sintomatologia e tentativi disfunzionali  

Sebbene all’origine dell’acrofobia possa  esservi un evento traumatico, quale un  incidente avvenuto precipitando da un luogo elevato, nella quasi totalità dei casi  non è così. Anzi, nella pratica clinica,  diversamente da quanto possa ritenersi, è assai raro rintracciare un trauma pregresso che possa, in concreto, generare un  disturbo fobico.  Sovente - ed è valido sia per gli attacchi  di panico che per le fobie in generale - si  tratta di “match cognitivo”: se si sperimentano sintomi e sensazioni  negative in presenza di una determinata  circostanza (nel caso di specie, mentre ci si  trovi affacciati o sul ciglio di un’altura)  allora si tenderà a ricollegare e rievocare il  malessere percepito ogni volta in cui ci si  ritroverà nelle medesime contingenze.  

Il timore delle altezze poi, si diceva,  comprende un certo atavismo ed è  connaturato all’essere umano: fin dai primi  anni d’età, infatti, l’altezza è percepita  come il primo potenziale pericolo per la  vita e, dunque, ci si tiene ben lontani. È  una reazione istintiva e fisiologica,  funzionale alla salvaguardia dell’esistenza.  Anche i non-fobici possono provare  episodi sporadici di ansia o panico affacciandosi da un’altezza considerevole.  

Tuttavia può accadere che questa reazione diventi generalizzata, incontrollata e sproporzionata rispetto all’entità effettiva del pericolo, pertanto si  verificherà in presenza di qualsiasi tipo di  altezza - comprese le più innocue - non rispondendo più al requisito della funzionalità. Solo in tal caso si configurerà  un disturbo clinicamente apprezzabile e si potrà parlare di acrofobia.  

La sintomatologia è quella propria dei  disturbi fobici: ansia, tachicardia, tremori,  dolori toracici, dispnea e vertigini che  possono facilmente sfociare in un attacco  di panico. Potrebbe essere avvertito anche  il timore di gettarsi dal luogo in cui ci si  trova.  

Eziologia, sintomatologia e tentativi disfunzionali  

Ora, per tentare di ovviare al problema,  il soggetto che ne soffre tenderà a mettere  in atto alcuni comportamenti - definiti  “tentativi disfunzionali” - i quali, invece di risolverlo, andranno ad aggravarlo ulteriormente, innescando una seroe direzioni accessorie che  impatteranno in modo estremamente  negativo sulla qualità della vita. Primo tra  tutti, l’evitamento delle situazioni  considerate a rischio. Tale atteggiamento  reiterato nel tempo è considerato  disfunzionale in quanto autoafferma, in  una logica introspettiva, la pericolosità del  problema. Di conseguenza, per estensione,  si comincerà ad evitare qualsiasi tipo di  circostanza associabile alla fobia, come anche salire le scale, accedere al balcone di  casa, prendere la macchina o l’aereo e così  via, compromettendo la quotidianità e la  vita sociale.  

Affrontare l’acrofobia con la Terapia Breve Strategica  

La Terapia Breve Strategica (TBS), di  cui si è detto sopra, offre un percorso  psicoterapico mirato a risolvere questa  gamma di problematiche in un arco di  tempo notevolmente limitato (circa dieci  sedute) e in modo efficace, a partire  dall’analisi dalle tentate soluzioni attuate  dal paziente. Il trattamento dell’acrofobia e dei  disturbi fobici in generale consiste nel  ripristinare una normale interazione con l'oggettofobico, attraverso stratagemmi ed esercizi assegnati nel corso  delle sedute.  

Non rileva se il disturbo sia più o meno radicato, né da quanto tempo perduri: attraverso un’esposizione controllata, ad  esempio, il terapeuta aiuterà il paziente a  ritrovare in modo rapido e progressivo la  giusta confidenza con i luoghi elevati, con se stesso e con lo spazio circostante.  Pertanto, alla luce di quanto esposto in questa sede, scegliendo un adeguato percorso di terapia è possibile imparare a gestire le proprie fobie e tornare ad essere  padroni delle altezze.  

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Scritto da

Dr. Alessio Morgan

Bibliografia

  • Nardone, G., (1998): Psicosoluzioni. Come  risolvere rapidamente i più complicati problemi  della vita. Milano: BUR 
  • Nardone, G., (2010): Paura, panico, fobie.  Milano: Tea 
  • Nardone, G., Balbi, E., (2017): Solcare il mare  all’insaputa del cielo. Lezioni sul cambiamento  terapeutico. Milano: Tea 
  • Nardone, G., Watzlawick, P., (1997): Terapia  breve strategica. Milano: Raffaello Cortina  Editore
  • Nardone, G., Watzlawick, P., (2010): L’arte del  cambiamento. La soluzione dei problemi  psicologici personali e interpersonali in tempi  brevi. Milano: Tea 
  • Nardone, G., Portelli, C., (2013): Ossessioni  compulsioni manie, Ponte alle Grazie, Milano

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