I meccanismi di difesa nel colloquio psicologico: inclinazioni o reazioni?
Il colloquio psicologico è un micro-cosmo diadico che implica un confronto, un mettersi in gioco ambo le parti che può costituire per il soggetto richiedente una situazione di tensione, di disagio, un momento propizio all’espressione
"I meccanismi di difesa sono processi psichici che ciascun individuo mette in atto, prevalentemente in modo automatico, per affrontare situazioni stressanti e mediare i conflitti generati dallo scontro tra bisogni, impulsi, desideri e affetti, da una parte e proibizioni interne e/o condizioni della realtà esterna, dall'altra", così Lingiardi (2014) definisce i meccanismi di difesa, mettendo in luce l'aspetto chiave di un costrutto estremamente importante e allo stesso tempo confondibile con quello di "strategia di coping".
Sebbene infatti quest'ultimo si accomuni al meccanismo di difesa nell'ottica di un ritorno all'omeostasi psichica infranta dal verificarsi di determinate condizioni interne o esterne all'individuo, ecco che la strategia di coping vi differisce poiché messa intenzionalmente in atto dal soggetto per affrontare situazionalmente un certo affetto negativo allo scopo di tornare rapidamente all'equilibrio psichico dell'affetto desiderato.
Meccanismi di difesa durante la terapia
Differentemente da quanto appena detto, e tornando alla definizione di Lingiardi, la natura del meccanismo di difesa (salvo poche eccezioni) sarebbe prevalentemente inconscia, rigida, disposizionale e volta non più a fronteggiare l'evento scatenante ma ad evitare situazioni di ansia eccessiva o di angoscia, a mantenere inalterata l'omeostasi psichica.
In sede di colloquio psicologico è dunque estremamente importante per il professionista saper riconoscere quali sono i meccanismi di difesa adottati dal cliente e valutare se questi sono evoluti ad un livello tale da essergli funzionali/disfunzionali rispetto al lavoro che verrà proposto (e più in generale, rispetto alla propria qualità di vita), pena il mantenimento della problematica da parte dello stesso che perpetuerà inevitabilmente nell'evitare inconsciamente il conflitto.
In che modo i meccanismi di difesa possono influenzarci durante la terapia?
Delle numerose classificazioni che sarebbe possibile presentare, scelgo in questa sede di riferirmi a quella adottata dal DSM-IV-TR (2000) che, facendo riferimento all'ordinamento proposto da Perry (1990) nel DMRS, nell'appendice sui meccanismi di difesa ordina gerarchicamente questi ultimi in 7 livelli disposti in base ai criteri di maturità e adattività. Tra i meccanismi difensivi appartenenti al primo livello (difese mature) troviamo la sublimazione, l'umorismo, l'altruismo, l'affiliazione, l'anticipazione, l'autoaffermazione, l'auto-osservazione e la regressione.
Vale la pena soffermarsi su questo ultimo poiché rappresenta un'"eccezione funzionale" rispetto alla definizione di meccanismo di difesa inizialmente indicata: esso è infatti un meccanismo difensivo conscio o semi-conscio attraverso il quale viene applicato un evitamento attivo e volontario di pensieri, problemi, desideri o sentimenti disturbanti; ciò può rappresentare un grande vantaggio per il soggetto che è in grado di vivere più serenamente la quotidianità senza venir completamente assorbito da situazioni stressanti o comunque percepite come problematiche.
Più in generale, tutti i meccanismi difensivi di alto livello consentono capacità di adattamento ottimali nella gestione degli agenti stressanti e promuovono un ottimo equilibrio tra i motivi di conflitto. A un livello successivo, scendendo man mano sempre più verso meccanismi meno adattivi, troviamo il livello delle inibizioni mentali. Questo si suddivide a sua volta nel livello delle difese ossessive e delle difese nevrotiche; tra le prime troviamo l'isolamento dell'affetto, l'intellettualizzazione e l'annullamento retroattivo, tra le seconde la rimozione, la dissociazione, la formazione reattiva e lo spostamento. Vorrei in particolare focalizzarmi sull'isolamento dell'affetto (perché ben evidenzia la formazione di compromesso che caratterizza questo livello) e sulla rimozione (per l'importanza di natura storica che questo meccanismo porta con sé).
L'isolamento dell'affetto si caratterizza dalla separazione dell'idea dai sentimenti che originariamente le erano associati, e quindi tra la parte cognitiva del ricordo e la parte affettiva associata allo stesso. Avviene dunque una formazione di compromesso (tipico delle difese di questo livello) che spoglia un certo evento della carica emotiva a esso associata per renderlo più accettabile/fruibile all'individuo.
Un esempio di questo meccanismo di difesa penso possa essere ben ritrovato nei diari di Bion quando racconta dei terribili momenti vissuti in guerra: questi sono descritti con freddezza, precisione, senza apparentemente lasciar trasparire nessun tipo di legame affettivo agganciato agli stessi; "frammenti non processati della sua esperienza di guerra" (Roper, 2014). Per quanto riguarda la rimozione, la sua importanza storica deriva dal fatto di esser stato il primo meccanismo di difesa studiato da Freud e, attraverso di lui, all'apertura degli studi che hanno portato alle odierne teorie. Questo si caratterizza per la rimozione dalla consapevolezza – coscienza da parte del soggetto di desideri, pensieri, ricordi disturbanti o di alcuni aspetti di eventi che la maggior parte delle persone invece ricorderebbe, così come di non riuscire (spesso) ad associarvi degli stati emotivi.
A un livello di maturità / adattività inferiore troviamo le difese appartenenti al livello lieve di distorsione dell'immagine, caratterizzato da distorsioni dell'immagine di sé, del corpo o degli altri finalizzate alla regolazione dell'autostima; di questo fanno parte l'idealizzazione, l'onnipotenza e la svalutazione, laddove l'idealizzazione consiste nel considerare sé stessi o gli altri in modo esageratamente positivo e la svalutazione in modo esageratamente negativo. L'alternanza di queste due difese è spesso riscontrabile all'interno del colloquio psicologico: il soggetto tenderebbe inizialmente a idealizzare il professionista per poi passare successivamente a svalutarlo.
Sempre seguendo la suddivisione adottata dal DSM, troviamo a un livello di maturità inferiore le difese appartenenti al livello del disconoscimento, laddove il soggetto non si prenderebbe la responsabilità delle situazioni, estraniando da sé la colpa o degli aspetti inaccettabili e mantenendo in questo modo un senso di sé "pulito". Fanno parte di questo livello la proiezione, la razionalizzazione, la fantasia autistica e la negazione. Particolare attenzione deve essere posta verso quest'ultima e distinta dal diniego, laddove la negazione per il soggetto comporta il non voler riconoscere l'affetto legato a determinati elementi della realtà perché troppo dolorosi / inaccettabili (livello più nevrotico), mentre col diniego arriva a disconoscere l'evento stesso, sino a negare che questo sia mai avvenuto (livello più psicotico).
Il penultimo livello è quello della distorsione maggiore dell'immagine; questo si caratterizza per una grossolana distorsione e attribuzione evidentemente errata dell'immagine di sé o degli altri per mantenere un senso coerente del sé ed evitare la frammentazione. Vi fanno parte l'identificazione proiettiva e la scissione; quest'ultima consiste in una divisione di stati affettivi opposti appartenenti a un certo oggetto, a generare una dicotomia cibernetica che impedisce l'integrazione di aspetti positivi e negativi dell'altro, ora visto come tutto buono o come tutto cattivo. Infine, al livello più basso di maturità e adattività, troviamo le difese appartenenti al livello dell'acting, di cui fanno parte l'acting-out, l'aggressione passiva e l'Help-Reject Complaining.
L'immaturità che sottolinea la gravità di questo livello di funzionamento è dovuta alla totale mancanza di comprensione della componente affettiva legata a un certo impulso che non viene processato / valutato; il soggetto agisce un'azione (o si ritira) e basta, seguendo una dinamica stimolo – risposta. Oltre questo livello se ne aggiunge uno ulteriore (e ancora più a basso funzionamento) definito "della sregolatezza difensiva", caratterizzato dal fallimento dell'organizzazione difensiva utilizzata per contenere le reazioni del soggetto agli stressor, che porta a una netta frattura con la realtà oggettiva. Trovo sia però importante fare un passo indietro e focalizzarci sulla difesa di acting-out; questa comporta l'espressione di sentimenti, desideri e impulsi attraverso un comportamento incontrollato con apparente noncuranza delle possibili conseguenze a livello personale e sociale. Come per tutti i meccanismi di difesa, vi sono però vari significati di acting-out e il clinico in sede di colloquio psicologico dovrebbe sempre domandarsi: "l'atteggiamento prepotente di questa persona che ho davanti, cosa gli potrebbe significare?
È un modo che utilizza per evacuare un effetto non elaborabile? Cerca di rassicurare la propria integrità dell'Io liberandola dalla tensione? Oppure è frutto di un disagio derivante dall'incapacità di riconoscere un bisogno di aiuto che trova espressione attraverso una modalità aggressiva?". Porsi queste domande, fare attenzione a tutti quelli che possono essere gli indicatori verbali che emergono dalle risposte fornite e saper individuare le intrinseche motivazione che possono aver portato il soggetto a sviluppare determinate caratteristiche difensive, rappresenta un punto focale di tutto il percorso che questi intraprenderà con il professionista, dalla fase di assessment sino al processo di restituzione, così come l'evoluzione delle suddette a difese più mature sarà obiettivo di un eventuale intervento e indicatore di buona riuscita dello stesso.
Occorre infine considerare che alcune difese sono tipicamente riscontrabili in determinate tipologie di personalità, così l'isolamento dell'affetto è più tipicamente riscontrabile (e allo stesso tempo indicatore) di una personalità ossessiva e la svalutazione di una personalità narcisistica. Ma ecco che è importante considerare, come scrive la McWilliams (1999), che "tutte le reazioni difensive costituiscono una miscela di inclinazioni personali e provocazioni situazionali. È clinicamente utile valutare se una data reazione rappresenti più le prime o le seconde". Infatti, il clinico dovrebbe essere in grado di saper distinguere (ad esempio) la proiezione utilizzata da una personalità paranoide in ogni contesto della propria vita dagli effetti paranoidi riscontrabili in persone che hanno subito traumi e che si vedono distrutte le precedenti aspettative e sicurezze di base (ibidem). In generale, tornando alle prime righe di questo elaborato, se le difese vanno nella direzione della soluzione del conflitto in termini realistici sono considerabili funzionali all'adattamento all'ambiente / realtà di un individuo, sono disadattive se vanno invece sempre nella direzione di evitare il conflitto. Compito del clinico è capire in quale piatto di questa bilancia il paziente si colloca e aiutarlo a pendere sul lato dell'adattabilità funzionale.
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