Profonda depressione, sono abbandonata al capolinea
Sono una donna e ho ventisei anni. Soffro di depressione da molti anni, ma sono stata per la prima volta in terapia solo questa estate.
L'esperienza è stata disastrosa, la dottoressa usava il cellulare per messaggiare altri pazienti (così diceva) durante le sedute, a volte ne parlava male, dandomi da pensare che parlasse male anche di me con gli altri, quindi il rapporto di fiducia è crepato prima ancora che potesse nascere. Ripeteva sempre le stesse cose, in generale avevo l'impressione di esprimermi poco e male, lei non mi veniva incontro quando faticavo e, anzi, addirittura una volta ha reagito in modo molto brusco, invitandomi a non tornare se pensavo di andare solo per farle un favore. Poco dopo ho smesso, infatti.
Approfittai di un paio di giorni in cui mi sentivo particolarmente audace per sospendere il rapporto. Il fatto che quel viaggio così agognato (erano molti anni che cercavo aiuto, ma avevo un enorme blocco per cui non riuscivo mai a fare quella telefonata) fosse stato un fallimento non mi buttò giù, anzi. Decisi che dovevo aiutarmi da sola, perché nessun altro poteva farlo. Per circa due settimane sono stata tutto sommato bene, poi è iniziato il declino.
Entro un mese dall'ultimo incontro con la psicologa la situazione è notevolmente peggiorata, sono arrivata al punto da scoppiare a piangere mentre sono a lavoro (cosa che non mi era mai successa prima, in genere il lavoro è sempre stato abbastanza per distrarmi). Non ho più ottimismo per la mia condizione, non mi fido più nemmeno di me stessa, ho fantasie suicide e non trovo una via d'uscita.
Nessuno mi vede.
I miei genitori sono persone estremamente semplici, poco scolarizzate e, lo dico "affettuosamente", ignoranti. Mentre mio padre è praticamente un muro (non ammette l'esistenza di nessuna manifestazione emotiva che non appartenga alla rabbia), mia madre "ci prova", ma ha risultati molto scarsi, perché il suo modo di comprendere questi problemi è estremamente semplicistico. Si dispiace che le sue figlie vivano dei malesseri, ma poi nel pratico non è in grado né di fornire il giusto supporto né di evolvere i suoi comportamenti per aiutarci (tenta sempre di invadere la privacy, di controllarci, ci sottopone a stress e continua a trasmetterci la sua ansia).
Con mia sorella ormai ho gettato la spugna, ho accettato il fatto che per lei faccio parte della schiera dei nemici (la famiglia), pur essendo anche io una vittima come lei. Mi ha sempre respinta dal punto di vista affettivo da che ho memoria, preferendo sempre e comunque amiche e fidanzati a me (so benissimo che nell'età dell'adolescenza è normale, ma è sempre stato così anche quando eravamo bambine e continua ad essere così ora che siamo adulte). Ho fatto l'ultimo tentativo di avvicinamento in concomitanza della fine della sua relazione di otto anni ad inizio di quest'anno. Era rimasta anche senza amici e quindi io ho fatto i salti mortali per far sì che restasse a galla, abbiamo fatto un viaggio insieme, la portavo a fare compere, le ho trovato io una psicoterapeuta con cui sfogarsi e mi sono assicurata che ci andasse. Sebbene ora lei stia più che bene (esce con amiche e diversi uomini), le mie dimostrazioni d'affetto sono finite nel dimenticatoio in tempi record, e il nostro rapporto, a causa anche della mia psiche a pezzi, è più freddo che mai.
Per fare un riassunto della mia situazione familiare: sono giorni che se non sono a lavoro sono abbandonata nel mio letto, non parlo con nessuno, non faccio niente, e comunque nessuno mi ha chiesto se mi sia successo qualcosa.
Mia madre una volta mi ha chiesto perché fossi così arrabbiata, ma era in un momento molto inopportuno (ero in bagno a fare quello che tutti gli umani fanno) e quindi l'ho cacciata di malo modo, finendo per risultare effettivamente arrabbiata e "darle ragione".
Questo, comunque, è esplicativo di come funzionino le emozioni in casa mia: sono convinti che il mio "silenzio" faccia parte del "trattamento del silenzio" a cui li starei sottoponendo perché sono arrabbiata con loro per qualche motivo. Non hanno la minima idea che io soffra di depressione e stia avendo una crisi acuta, e io non mi sento in grado di comunicare la verità (e in parte ho paura che per l'ennesima volta non capiscano quanto la situazione sia seria, facendomi sentire ancora peggio).
Non ho amici, a causa della fobia dell'abbandono ho mandato all'aria le poche amicizie che mi ero portata fino all'età adulta. Il terrore dell'abbandono è una cosa mai curata che mi porto dall'età infantile, dove molto ma molto spesso sognavo che la mia famiglia mi abbandonasse, mi lasciasse indietro o non mi aspettasse.
Ovviamente non ho una relazione, non l'ho mai avuta.
Non ho parenti a cui sia mai stata legata.
Sono completamente sola.
Vorrei solo che qualcuno si accorgesse di cosa mi sta succedendo e iniziasse a prendersi cura di me, mi aiutasse a fare quello che non riesco a fare da sola.
Venerdì sera mi sono nascosta in garage per chiamare uno psichiatra, ma qualcosa dentro di me si è lasciata impressionare dal suo tono di voce, sembrava distaccato e freddo, e quindi nel bel mezzo della conversazione mi si è bloccato il fiato e gli ho staccato il telefono in faccia.
Ovviamente non sto dando colpa al dottore per essere un professionista, ma non è nemmeno colpa mia se sono così distrutta che non ho potuto controllare quella reazione.
Ogni sera e ogni pausa pranzo passo il tempo a cercare numeri e indirizzi degli psicoterapeuti in zona, ma alla fine non riesco a chiamarne nessuno, ho paura di sbagliare di nuovo e di uscirne peggio ancora.
Se penso a come sciogliere i nodi della mia condizione mentale mi viene la nausea. Non so cosa lo abbia scatenato, ma un meccanismo di coping che adotto contro la mia volontà fin dall'infanzia è quello della fantasia compulsiva. Per molti anni non mi sono resa conto di quando fosse dannoso. La fantasia compulsiva causava una scarica piacevole di dopamina. Poi a 22-23 anni ho iniziato ad avvertire lo "schiaffo" quando uscivo dalla fantasia e rientravo nella realtà, quindi anche la fantasia compulsiva è diventata veicolo di depressione (ma non sono mai riuscita a smettere, ciononostante).
Negli ultimi giorni persino gli scenari di fantasia non sono più piacevoli ma, anzi, tendono al catastrofico, e non sono in grado di trovare pace nemmeno lì.
La mia vita ha tante radici problematiche (ho subito bullismo, abusi psicologici e sessuali in età infantile, ho un passato di disturbi alimentari in pre e adolescenza e tutt'oggi un cattivo rapporto col cibo e col mio corpo).
Il percorso che ho fatto con quella psicoterapeuta sembrava una chiacchierata col prete in parrocchia. Io parlavo qualche minuto, lei tirava fuori il solito proverbio in dialetto e le frasi fatte, concorrevamo che dovevamo trovare una strada per venirne fuori e via di portafogli. Mi disse che dovevo iscrivermi ad un corso di cucina.
Capirete che, a fronte di quello che devo vivere tutti i giorni, non potendomi fidare nemmeno di me stessa perché ho paura dei miei sbalzi d'umore e dei miei pensieri pericolosi, mi sembrò e mi sembra tutt'ora una stronzata.
Ma cosa devo fare? Devo riprovare a contattare lo psichiatra? O un nuovo psicoterapeuta? E devo vuotare tutto il sacco subito come ho fatto qui?
Ogni minuto che passa va sempre peggio.