Fobie da isolamento
L'uomo si adatta e si definisce nell'ambiente. Lo spazio ci aiuta a capire chi siamo, oltre che dove siamo. Questo articolo offre informazioni e spunti sul tema.
Carissimi e carissime compagni e compagne di sorte, aspettando che i tempi della reclusione preventiva e forzata diano i primi risultati sulla diminuzione dei contagi, vi propongo un articolo che spero possa dare sollievo ai vostri isola-menti.
La privazione della libertà individuale a cui siamo soggetti, oltre a limitare i movimenti del nostro corpo, può avere delle ripercussioni anche livello mentale e affettivo. Forse qualcuno di voi avrà notato dei disagi, principalmente legati a quello che la scienza del comportamento chiama "topofobia". La fobia relativa al "topos", lungi dall'essere un problema che riguarda il nostro rapporto con i roditori di origine spagnola (ahahahaha), indica uno stato ossessivo che si scatena nei confronti di determinati luoghi o ambienti che sfuggono al nostro controllo, e le nostre case in questo momento, non permettendoci di uscire come vorremmo, possono rientrare in questa categoria.
Questo isolamento domestico e/o professionale obbligato, infatti, ci sottopone a una ripetizione ambientale che, in alcuni casi, può risultare ansiogena. Gli spazi si riducono e i contatti umani si polarizzano, diminuendo o aumentando drasticamente, a seconda se si vive da soli o se si convive, ma anche a seconda dell'uso che viene fatto dei mezzi di comunicazione. Questo tipo malessere psicologico legato all'eccessiva lontananza con l'altro o all'eccessiva vicinanza può generare insofferenza per la vacuità o per la densità delle interazioni che si hanno. Vediamo alcuni esempi.
Nel primo caso, quello relativo al disagio dell'estrema solitudine, c'è chi parla di "horror vacui", una locuzione latina che significa letteralmente "terrore del vuoto". In psicologia si parla di cenofobia, la sensazione di paura, o grave disagio, che riguarda la percezione del vuoto, "keno", avvertita nelle stanze, nelle strade o negli spazi deserti. Il timore è quello di non riuscire a controllare la situazione, di non poter uscire più da quel vuoto. Lo stesso avviene nella claustrofobia, la paura dei luoghi chiusi, "claustro", e, in qualche modo nell'agorafobia, la paura delle piazze, "agora", anche se non è questo il nostro caso. In ogni modo si tratta di un'angoscia che si prova in situazioni poco familiari, in cui si ha l'impressione di non avere facili vie di fuga o di non poter ricevere eventuali interventi di aiuto. In questi casi, può essere utile mettere in atto qualche strategia di elusione del rischio (avoidance), che può tradursi in una semplice telefonata ad una persona fidata, nell'organizzarsi la giornata in modo da avere contatti soddisfacenti e routinari o nel far ricorso a tecniche di rilassamento, come la meditazione, la mindfulness e il nidra yoga, oppure contattare un terapeuta.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale induce il paziente a razionalizzare la propria paura morbosa per eliminarla, cercando di concentrarsi sulla possibilità di reagire. La psicologia della gestalt, al contrario, considerando la risposta comportamentale come la più appropriata che la persona può sviluppare in quel dato momento e in base alle sue capacità, cerca di accompagnare la persona a scoprire il bisogno esistenziale che si nasconde dietro al sintomo, e modalità differenti per soddisfarlo in maniera maggiormente piacevole.
Nel secondo caso il problema è opposto: l'altro è di troppo. In psicologia si parla di sociofobia, ossia un'intensa e pervasiva paura di essere osservati e giudicati dall'altro. La causa scatenante può essere la forzata condivisione di una situazione che si vorrebbe tenere per sè. Questa sorta di "vergogna del proprio essere" scaturisce, infatti, dal semplice essere osservati. Se la fobia sociale, o ansia sociale, è un disturbo a cui normalmente sono esposti solo soggetti paranoidi, può sperimentarsi in chiunque si trovi a non poter scegliere le proprie relazioni, anche se non problematiche di per sé. In questo modo si innesca una paura di essere malgiudicati anche dai propri cari e temendo di comportarsi in maniera imbarazzante e umiliante. Se la persona non riesce ad evitare queste situazioni spiacevoli, si sentirà in trappola, costretta ad affrontarle con un carico di disagio e di aggressività estrema. Per evitare questa escalation, un consiglio cognitivo-comportamentale è quello di prendersi dei momenti per sè, di isolarsi nel silenzio e nel vuoto percettivo, magari organizzando lo spazio e il tempo in modo da avere un "posto sicuro" in cui ritirarsi e ritrovarsi. Il metodo opposto, più gestaltico e liberatorio anche se scomodo, è quello di approfittare del disagio per affrontare le proprie vergogne, decidendo di condividerle con l'altro, rischiare di essere autentici ed emanciparsi dall'approvazione sociale. Questo percorso può essere facilitato dall'aiuto di un terapeuta.
Se è il vostro caso, approfittatente, d'altronde dietro ogni crisi c'è sempre un'opportunità...
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