La mia famiglia mi genera ansia: cosa fare?
L'ansia può essere "collegata" ad alcune persone che fanno parte della nostra vita, per esempio alla nostra famiglia? Se sì, perché? Quali soluzioni?
Secondo le indagini dell'Eurodap, gli italiani sono sempre più ansiosi. A dirlo è appunto l'Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico (Eurodap) che, tramite un’indagine proposta su Internet all'incirca un anno fa, al quale hanno risposto oltre 700 individui tra i 19 e i 60 anni, ha voluto analizzare quanto comunemente le persone sperimentino alcuni dei segnali caratteristici dell'ansia e del panico. Dai risultati è venuto fuori che il 79% di coloro che hanno risposto ha avuto, nei 30 giorni precedenti, manifestazioni fisiche ripetute e intense di ansia; il 73% si avverte come una persona molto inquieta, che si tormenta anche per le piccole cose e le piccole situazioni; il 68% asserisce di provare non poco malessere all'idea di dover stare lontano da casa o dai posti familiari, mentre ben il 91% ha difficoltà nel rilassarsi.
Noi di GuidaPsicologi sappiamo bene che l'ansia è piuttosto diffusa tra i nostri utenti.
In questo caso, abbiamo deciso di prendere spunto proprio dalla domanda di una nostra utente, la quale racconta:
«La mia famiglia mi crea ansia. Al solo pensiero di stare con loro, inizio a sudare freddo. Mi sento costantemente sotto pressione ma loro non accettano né hanno mai accettato il mio bisogno di indipendenza. Dopo soli tre giorni in loro compagnia mi sento come in una pentola a pressione».
Essendoci questo caso parso estremamente interessante, abbiamo deciso di rivolgere qualche domanda alla dottoressa Mattioli per scoprirne di più.
Ansia: cos'è, sintomi, cause, ansia adattiva e ansia patologica
La pentola a pressione esprime bene il senso di oppressione e ansia che probabilmente vive la signora che scrive. L’ansia è un'emozione spiacevole, caratterizzata da stati di tensione e nervosismo e da caratteristici sintomi fisiologici. Si attiva di solito di fronte alla minaccia di un pericolo reale o immaginario.
Si manifesta in genere con respirazione accelerata, palpitazioni cardiache, tremore, nausea, vertigini accompagnati da una sensazione di paura e dalla previsione di scenari negativi.
Anche se non è piacevole, l’ansia è un’emozione naturale e universale.
Ha la funzione di anticipare i pericoli, mettendo in moto specifiche risposte fisiologiche.
La sua funzione adattativa favorisce il rapporto con l’ambiente e con se stessi, anticipando le minacce e preparando all’azione, per esempio spingendoci all’impegno in alcuni compiti quotidiani (pensiamo all'ansia che spinge uno studente a studiare per superare un esame) oppure spingendo a evitare pericoli.
In generale l’ansia non si può evitare, ma si può imparare a gestirla e a comprenderne il significato. È solo quando non dà luogo a comportamenti adattativi, cioè quando ne deriva prevalentemente un blocco o una significativa limitazione del proprio campo di azione, che deve essere considerato l’aspetto patologico, ed è meglio rivolgersi a un professionista.
L'ansia può essere "collegata" a qualcuno che fa parte della nostra vita? Se sì, perché?
L’ansia può essere attivata dai più svariati stimoli, ma qualsiasi sia l’elemento scatenante, va sempre ricostruito il contesto relazionale in cui si muove la persona che la vive. Prendiamo il caso della signora che scrive: il suo disagio rimanda allo stato delle dinamiche familiari, probabilmente rimaste bloccate a una fase di vita precedente e all’antica difficoltà di portarla a compimento.
Lo svincolo dalla famiglia di origine, con la costruzione di un’identità e un’autonomia personali, sono il compito dell’adolescenza, anche se non sempre i risultati raggiunti corrispondono completamente al raggiungimento di questo obiettivo.
Quello che accade spesso è che figli e genitori abbiano difficoltà a riconoscere ognuno la specificità e la diversità dell’altro, e che si costruiscano soluzioni di compromesso che permettono di realizzare i propri obiettivi anche se con alcuni limiti e alcune conseguenze.
Allontanarsi da casa, mettere una grande distanza concreta tra se e la famiglia di origine, è un modo per gestire una difficoltà senza risolverla completamente.
Ci sono famiglie in cui è difficile per i genitori riconoscere e accettare l’autonoma dei figli, spesso perché questa rappresenta una forma di disconferma dei propri principi di vita e quindi anche di se stessi. Ogni tentativo di allontanarsi da tali principi viene considerato un attacco e un rifiuto anche sul piano personale, oltre che un pericolo per l’equilibrio della famiglia. Le tensioni che ne derivano, e che sono spesso lamentate nelle famiglie con figli adolescenti, sono direttamente collegate alle lotte per l’affermazione della propria individualità da parte del o dei figli, e la resistenza a queste da parte dei genitori. Nella maggior parte dei casi le cose si risolvono positivamente: i genitori, loro malgrado, riconoscono e accettano i nuovi principi di vita portati dal figlio e il figlio guadagna la sua posizione di adulto in famiglia.
In altri casi non è così semplice, la famiglia non riesce a modificare la propria “filosofia di vita” e qualcuno se ne deve andare.
La lettrice probabilmente si è trovata in questa situazione e ora che si prospetta l’eventualità di tornare in famiglia si immagina di dover di nuovo rinunciare a se stessa, scenario che le risulta, giustamente, insopportabile.
Quali possibili soluzioni?
Una è quella di riprendere i passaggi del percorso adolescenziale da dove si sono interrotti in particolare la fase di relativizzazione delle figure di riferimento, i genitori o loro sostituti, con i loro difetti e i loro aspetti umani, che sembrerebbe essere un aspetto critico nel caso di cui stiamo parlando. Non va attribuita solo alla famiglia la difficoltà di assumere una posizione più paritaria, ma anche alla difficoltà di un figlio di affermarsi, di puntare i piedi e di sopportare le conseguenze della propria affermazione per esempio la rabbia, il mutismo, le accuse, il ritiro, l’isolamento, etc. da parte dei genitori.
Sono momenti che si affrontano più facilmente se si può contare sull’appoggio di qualcuno: partner, amici, altri fratelli, o sul sostegno di uno specialista che aiuta anche a ridisegnare il proprio progetto di autonomia attraverso la costruzione di strumenti più stabili.
Le informazioni pubblicate da GuidaPsicologi.it non sostituiscono in nessun caso la relazione tra paziente e professionista. GuidaPsicologi.it non fa apologia di nessun trattamento specifico, prodotto commerciale o servizio.
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Buonasera , sono Sabrina Articolo molto interessante , la domanda che pongo a voi ora è questa Se le difficoltà di relazione figli - genitori emergono in età adolescenziale , perché non intervenire con una terapia famigliare o provare a proporla? Parlo per esperienza personale , ritengo sia , qualora tutti gli elementi famigliari siano d’accordo , più utile “ ritrovarsi “ ed avvicinarsi , attraverso la comprensione ed un valido sostegno , piuttosto che “ allontanarsi “ Grazie !! Buona serata
Personalmente a 32 anni spesso faccio di tutto per non stare in casa mia ! Convivere con i miei genitori con le loro idee con i loro problemi mi soffoca mi intristisce mi spegne e mi innervosisce Purtroppo tutto questo crea frustraZione perché lottando per ottenere un lavoro pagato per poter andar via di casa genera una serie di meccanismi negativi da cui non è facile uscirne