Il caso di Giulia: la cura della depressione tramite ipnosi
Il caso di Giulia racconta come, con l'aiuto della psicoterapia e dell'ipnosi, sia possibile affrontare la depressione aumentando la consapevolezza di sè e l'autostima.
Giulia, donna di 38 anni, è venuta da me in terapia in seguito alla dolorosa perdita della nonna. La morte di una figura da lei così amata l'ha gettata in un oceano di tristezza e depressione mai conosciuto prima, e che lei non riesce ad affrontare. Nel percorso psicoterapico che faremo insieme, con l'ausilio dell'ipnosi, questo evento doloroso sarà l'occasione di una rilettura della sua intera vita che la metterà profondamente in discussione e che la aiuterà in un processo rigenerante di trasformazione.
Prima di questo evento, Giulia ha vissuto come fosse "addormentata": non in contatto con se stessa e col suo sentire. In terapia emerge come questa modalità sia stata sviluppata da lei per non entrare in contatto con la ferita di una bambina che non è stata considerata, e che da lì in poi ha sempre cercato di riempire il vuoto esistenziale mettendosi in contatto con l'altro e ponendosi al servizio dei suoi bisogni. È sempre stata, infatti, fin da piccola, fonte imprescindibile di sostegno e consolazione per la madre, vittima dei continui maltrattamenti ad opera del padre. È così che si è ritagliata il suo ruolo nel mondo attraverso la cura degli altri (prima di sua madre e in seguito, nella vita, di altre figure bisognose). Questo ha comportato una carenza di confini tra sé e l'altro, una mancanza di differenziazione che la protegge dalla paura di essere abbandonata e che ha favorito una "dimenticanza di sé". Prima del lutto della nonna e della depressione che ne è scaturita, infatti, è come se Giulia non fosse mai entrata a pieno contatto non solo con la propria sofferenza, ma in genere con alcuna sua emozione. Riempiva la vita e la giornata con attività, cibo, shopping, ma non sentiva: come se avesse inserito il pilota automatico. Mai stata vista per ciò che era (aldilà di ciò che faceva nell'aiutare chi ne avesse bisogno) e troppo impegnata a vivere per gli altri, non viveva dentro se stessa.
L'ipnosi è stata uno strumento fondamentale di consapevolezza e di cambiamento all'interno della nostra terapia. Si tratta di un'esperienza, guidata dal clinico (preferibilmente psicologo e psicoterapeuta), che conduce nello stato mentale della trance, che Erickson definisce come uno stato di coscienza in cui abbiamo un'esperienza di noi stessi più profonda e in cui siamo più ricettivi rispetto alle nostre potenzialità irrealizzate, che con l'aiuto del professionista possono essere conosciute e sviluppate ulteriormente. Erickson definisce la trance ipnotica anche come un momento di libertà in cui può esprimersi l'individualità, superando le limitazioni che sono state apprese dall'individuo nel corso della vita (Erickson, 1979). Per Giulia l'ipnosi è stata un modo per stare nel suo corpo e sentire le sue emozioni, ma anche per superare convinzioni limitanti e bloccanti su di sé.
Durante la terapia lavoreremo sulla generosità estrema, quasi compulsiva di Giulia. Emergerà come la nonna fosse l'unica che la amasse e accudisse senza volere qualcosa in cambio o sperare di essere accudita a sua volta, ragion per cui è come se, sparita quella persona significativa, anche l'identità di Giulia fosse andata persa. Con Giulia abbiamo lavorato sulle emozioni "indesiderate": abbiamo affrontato la tristezza (sepolta in passato sotto la sua pregressa e apparente imperturbabilità), la paura (al cui primo segnale, precedentemente, si arrabbiava, per poi mascherarla, controllarla e trasformarla in colpevolizzazione di sé o dell'altro), la rabbia. Adesso sente quando qualcosa la fa arrabbiare o le fa male e prova a porre dei limiti. Ci siamo avvicinate al suo mondo istintivo, prima percepito così pericoloso: il regno del desiderio, della spontaneità. Ha preso contatto col fatto che, se si può amare tanto, si può anche odiare altrettanto, e questo non fa di lei una persona "cattiva". Giulia ha imparato quindi a essere consapevole di sé, a chiedersi come sta, di cosa ha bisogno e cosa vuole. Adesso si sente accettata dagli altri senza sentirsi in dovere di guadagnarsi il diritto di esserci. Ha appreso che, come dice Naranjo (2015), si può essere felici dando - se il dare emerge dal sentire e non dalla compulsione dettata dall'automatismo o dal senso di colpa - e si può essere felici ricevendo, senza dover assecondare il bisogno irrefrenabile di restituire.
Dott.ssa Marta Di Grado
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Mi ci sono ritrovato tanto, grazie per gli spunti di riflessione
Grazie dott.ssa, ogni suo articolo (come ogni seduta con lei) è prezioso.