La coazione a ripetere e Claude Monet
Perché ripetere e rifare dei gesti che fanno stare male e che creano dolore fino allo sconfinamento nell'angoscia?
La nostra vita è fatta di ripetizioni: la pasta al sugo la domenica, il natale a casa dei parenti (che probabilmente vedi solo in quella occasione), i rituali prima di un esame universitario, le raccomandazioni dei genitori prima di uscire (anche a 40 anni suonati), la visione di quel film che ogni volta aiuta a rilassarsi dopo una giornata particolarmente dura. E poi ci sono i compleanni, le varie ricorrenze, le varie festività.
Tutti questi eventi sono alla base dei sentimenti individuali e collettivi di identità, familiarità e di vivibilità del nostro mondo interno ed esterno. Essi possono dirsi "ripetizioni sane" in quanto ci permettono di avere un' integrità, un equilibrio tra ciò che è passato, presente e futuro nonché una certa sicurezza di continuità tra chi si è stati, chi si è e chi si vorrà essere.
Ci sono delle ripetizioni però che, nel linguaggio più tecnico, si direbbero "coazioni a ripetere", che assumono i contorni di una forma di ripetizione ben diversa, ben più dolorosa e che è indipendente dalla nostra volontà.
In tal senso l'esperienza di vita di Claude Monet, pittore espressionista nonché fondatore del movimento stesso, sembra poterci venire incontro. La morte dell'adorata madre, quando lui aveva 17 anni, e poi dell'amata moglie Camille, sembrano essere stati due eventi determinanti per tutta la sua produzione successiva. Dall'anno della morte di quest'ultima infatti, datata 1879, salvo rarissime eccezioni, (a) la figura e il volto umano tenderanno completamente a sparire; (b) focalizza la sua attenzione sui riflessi della luce, del sole che poggia sulle cose e più in generale sulla paesaggistica, (c) sembra farsi strada sempre più il meccanismo volto a ripetere, a "serializzare".
Tutte le opere, infatti, saranno accompagnate dal sottotitolo "serie": la serie dei filari di pioppi, dei bracci e gli affluenti della Senna, delle cattedrali di Rouen (il ciclo conterrà fino a 50 dipinti), dei covoni di fieno, dei parlamenti inglesi, delle vedute del Tamigi, dei palazzi di Venezia ed infine delle sue tanto amate tele gigantesche delle Ninfee.
Ma come si potrebbero interpretare queste serie di tele, coi medesimi soggetti? La psicoanalisi potrebbe aiutarci a comprendere qualcosa.
Se, come detto, esistono delle ripetizioni sane, capaci di restituire conforto, esistono dei gesti ripetitivi di tutt'altra natura che, la psicoanalista Melanie Klein, dice essere incentrati sul tema dell'angoscia. Questi gesti ripetitivi - la coazione a ripetere - mostrerebbero allora uno stato di impotenza originaria in cui si è in balia di tutto: dei legami di dipendenza, della paura e, come detto, dell'angoscia più profonda.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe dirmi: «Perché ripetere e rifare dei gesti che fanno stare male e che creano dolore fino allo sconfinamento nell'angoscia?».
Domanda più che legittima a cui si potrebbe rispondere con un'altra domanda ancora, che solo apparentemente, non ha nulla a che fare col tema principale : «Perché scegliamo, ci innamoriamo e stiamo sempre con persone che poi si rivelano "sbagliate"?».
Freud, in tal senso, ha detto che esistono forme di ripetizione dei nostri vissuti che non sono il frutto di un soddisfacimento ma che in ogni caso rifacciamo, contro la nostra volontà al di là della ricerca di un principio di piacere o dispiacere.
Appare così evidente che siamo "condannati a ripetere" qualsiasi esperienza passata significativa,"buona" o "cattiva" che sia, soddisfacente o meno. Siamo costretti a ripetere tutto quello che ha segnato la psiche, che lo si voglia o no, che abbia portato piacere o meno, che abbia portato dolore.
Se quindi si ripete per il piacere di ripetere - perché una attività, una situazione, una relazione ci fa stare bene e ci gratifica - questo tipo di ripetizione ha poco a che fare con la costrizione e la coazione ed è evidentemente la dimostrazione di un io sano, funzionale, capace di gestione, di venire a compromessi e regolarsi di conseguenza.
Se invece, al contrario, si ripetono attività, situazioni, relazioni che vanno contro la nostra soggettività/volontà significa che la psiche sta cercando e sta provando con tutte le sue forze di ripristinare un ordine interno, di equilibrare, dotare e integrare ciò che non si comprende, ciò che fa soffrire.
Riprendendo le parole di Melanie Klein, si può affermare che lo scopo di quest'ultimo tipo di ripetizione è "dominare l'angoscia".
Non a caso, quando non si comprende, ripetere, fino a che non si è capito, può aiutare. Repetita iuvant. Le pennellate di Monet, varie migliaia per ogni dipinto - come si evince da due dei quadri della serie "Lo stagno delle ninfee" che ho avuto modo di vedere alla National Gallery di Londra e all'Albertina di Vienna - sembrano insistenti e ripetitive, sembrano non avere a che fare col piacere della ripetizione ma con qualcosa che lo fa sprofondare, gli fa temere, come ribadisce egli stesso, di non portare a conclusione la serie de "Le cattedrali di Rouen":«sono spezzato, non ne posso più, ho avuto una notta da incubi: la cattedrale mi crollava addosso».
Tuttavia, come sottolinea Donald Winnicott, la ripetizione di queste esperienze, per certi verso, porta con sé anche un elemento curativo, che aiuta a superare il senso di perdita e il sentimento di cordoglio.
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