L'importanza del contesto terapeutico
Il contesto terapeutico, oltre la diagnosi, risulta essenziale per proporre il migliore percorso ai pazienti che si recano in studio. La terapia familiare applicata ai DSA.
- Nella esperienza del nostro studio-laboratorio per DSA è capitato spesso che siano arrivati casidiagnosticati come semplice difficoltà scolastiche e che siano poi usciti con vere e proprie terapie familiari. Essendo un'equipe con doppia formazione (scuola sistemico relazionale e master universitario per disturbi dell'apprendimento) affrontiamo ogni caso con una visione più complessarispetto ad un approccio unicamente riabilitativo.La dislessia e la disgrafia sono disturbi dell'apprendimento che hanno un'origine neurobiologica e ereditaria. Per questo motivo gran parte dei trattamenti si basa su procedure di compensazione per migliorare la prestazione lettura o scrittura.Tuttavia, così come una gastrite può essere risolta, in certi casi, con una pasticca (almeno superficialmente) lo stesso non possiamo dire per i DSA. Nonostante la loro base neurobiologica hanno molti aspetti che vanno a impattare con il sistema familiare, con la sua resilienza e con la sua capacità di adattamento e cambiamento. Precisamente queste caratteristiche sono:
- 1.la cronicità (dovuta alla compensazione come elemento risolutivo di queste problematiche e nonalla guarigione).
- 2.L'impatto con il ciclo di vita (anche se l'età per la diagnosi è fissata nel terzo anno dellascuola primaria spesso ci sono dei comportamenti predittori che già attivano insegnanti egenitori a farsi carico di questa problematica). L'ingresso del bambino alla scuola primariarappresenta un importante momento di socializzazione secondaria, è un primo svincolo dalla famiglia; le abitudini del nucleo vengono confrontate per la prima volta con l'esterno, nelbene e nel male.
- 3.La ricaduta quotidiana dell'organizzazione di vita per compensare al meglio il sintomodislessia o disgrafia.
- 4.La necessità di creare, rispetto alla realtà di vita dominante, fatta di tabelle, potenziamenti, organizzazione serrata, alternative convincenti e esteticamente valide in cui il sistema familiare possa trovare nuovi miti in cui identificarsi.
A esemplificazione di come i DSA siano una condizione con base neuropsicologica ma manifestazione profondamente sistemica abbiamo deciso di selezionare tre tra i molti casi seguiti (precisando che per tutelare la privacy i nome sono fittizi e anche le situazioni modificate), evidenziando i passaggi chiave della terapia sistemica che hanno consentito il superamento delle difficoltà nella famiglia per arrivare a ottimi percorsi di studio e, ci auguriamo, di vita.
La famiglia Rossi
Il babbo e la mamma di Francesco Rossi mi contattano in sede di sportello di ascolto specifico per DSA chiedendomi, in un primo momento, il percorso di valutazione per emettere l'eventuale diagnosi. Si lamentano per i voti bassi del figlio. Mi informano che Francesco, di 11 anni, da piccolo ha avuto la sindrome di Kawasaki, una malattia autoimmune caratterizzata da febbre prolungata, congiuntivite e poliartrite di gravità variabile e per questo Francesco non ha frequentato la scuola materna. Il babbo ha una carriera scolastica interrotta molto presto, costellata di bocciature in seconda e terza media, adesso fa l'idraulico e ha un suo negozio che conduce con successo. La madreè impiegata e la sorella, Mariella, di 21 anni, frequenta con profitto la facoltà di Economia aFirenze.
Visto che Francesco è già in prima media decidiamo in equipe di somministrare i test per valutare il profilo degli apprendimenti e redigere un'eventuale diagnosi.
Francesco affronta tutti i test con grande motivazione ed esce un profilo cognitivo molto alto con ottime capacità verbali. Gli apprendimenti sono invece compromessi, in particolare il criterio di correttezza con una deviazione standard negativa nella prova DDE di lettura di 5.5 punti affiancata anche da una prova di lettura negativa del brano (Deviazione standard -2).
Così come indica la legge raccomandiamo la stesura di un PDP con gli strumenti dispensativi e compensativi che riteniamo più appropriati. Poco dopo l'incontro di restituzione con i genitori econ la scuola il padre mi richiama dicendomi che Francesco è oppositivo e che ha praticamente smessodi studiare, questionando anche con i professori e non riuscendo a seguire le indicazioni della famiglia per prepararsi a scuola. I voti sono molto bassi soprattutto inglese e matematica, il padre ironizza dicendo "Se fossero una materia unica avrebbe 8!".
Decidiamo perciò di fare un incontro convocando tutta la famiglia. Da questo punto in poi struttureremo insieme ai Rossi un percorso di terapia familiare in cui si rivelerà centrale la figura della sorella maggiore, Mariella, che troverà il modo di aiutare Francesco in questo primo svincolo.
Partiamo da una prima seduta in cui Federico, il padre, attribuisce tutta la colpa dell'insuccessoscolastico allo scarso lavoro di Francesco. La dislessia è una scusa. Così svaluta la nostradiagnosi, la disabilità del figlio negli apprendimenti e anche l'aiuto che la moglie e la figliadanno al ragazzo. Questo padre ha il mito dell'onestà e trova che il figlio non sia dislessico, solo sfaticato!
Francesco durante la seduta guarda in terra. È seduto a lato, vicino alla mamma ma distante dal padre. Quest'ultimo continua, per buona parte della seduta, con l'invettiva sul brutto carattere del figlio, che in classe si permette di fare le sfuriate e poi non ha nemmeno ragione.
Chiedo allora l'opinione di Francesco che si sorprende di poter parlare. Gli chiedo come l'ha presalui la diagnosi di dislessia. Di fronte a questa parola la famiglia viene scossa da un'onda cheporto subito alla luce; la mamma si alza sulla sedia come se scottasse, la sorella si muove e guarda verso il muro, Federico apre le braccia come se avessi nominato un tabù…
Chiedo allora se non avrei dovuto nominarla! Cavalco questa onda: che calendario avete fatto? Chi aiuta Francesco e quando? La mamma ammette che non hanno assolutamente pensato di organizzarsi in questo modo. Chioso su questa minimizzazione della problematica di Francesco e do loro una prescrizione che prevede di costruire un calendario per aiutare il ragazzo, con l'obiettivo direnderlo autonomo. Nel corso della terapia (10 sedute per un anno di tempo) emergeranno molte emozioni come la rabbia e l'aggressività di Francesco; il ragazzo la esporrà in seduta parlandoapertamente della vergogna e delle difficoltà conseguenti alla diversità nel suo modo di apprendere. Leggerà un tema in classe in cui parlerà ai compagni delle sue difficoltà e la professoressa li descriverà basiti e ipnotizzati dalla portata emotiva del tema. Come conseguenza "secondaria" la mamma, che da anni è in cura per depressione (aspetto che transitava anche su Francesco, nella modalità di un possibile sospetto che la disattenzione scolastica fosse il prodromo di un disturbo depressivo) inizierà una routine positiva nell'uso dei farmaci e in seduta affronteremo anche questotema. La sorella sarà libera di svincolarsi grazie a un Francesco più autonomo e, in seguito, come mi ha fatto sapere la famiglia, laurearsi.
La terapia ha potuto assorbire l'ansia derivata dalla diagnosi di dislessia trasformandola in parole potenti e costruttive che hanno attivato nel sistema familiare strategie resilienti. Francesco èdiventato più disponibile mentre la famiglia ha saputo dosare l'attenzione sull'adolescente (nétroppa né poca).
La ventata di cambiamento ha investito i Rossi. Francesco si è diplomato in agraria e oggi lavora nell'ambito per cui ha studiato. Il padre mi aggiorna sui progressi familiari che continuano serenamente.
- il comportamento ambivalente, da doppio legame, portato avanti dalla mamma che ha continue interazioni come: "Puoi dire quello che vuoi ma sei davvero sicuro di dire questa cosa?"; comportamento che ha anche nei confronti del corpo docenti di cui si slancia in un elogio in buona parte della seduta per poi dirmi che, a suo parere, non hanno attuato alcun provvedimento previsto dalla normativa.
- Il comportamento minimizzante del padre che, come un disco rotto, ripete continuamente "Ai miei tempi queste cose le risolvevamo a scappellotti!"
Nicola seduto tra i due li guarda e spesso si perde a osservare la stanza. In prima seduta faccio notare alla mamma la discrepanza del suo comportamento. Perché si lamenta di Nicola se poi gli chiede continuamente se è sicuro? Tiro in ballo anche il marito che commenta sempre laconico: "Sa, mia moglie è così".
Non ci sto a questa definizione passiva e incalzo la famiglia con alcune fantasie su come sarebbero se la mamma non chiedesse tutto e il contrario di tutto… Parte Nicola, adesso attento, che organizza molto bene un sano contrattacco, facendo notare alla mamma che gli chiede cose che non possono stare insieme. Il babbo rimane stupito dalla chiarezza del messaggio di Nicola. Questa comunicazione chiara porta buoni frutti anche fuori dalla stanza di terapia perché alla seduta successiva arrivano con molti bei voti, un salto incredibile per l'autostima di Nicola!
La mamma dice che non lo aveva mai visto così impegnato a scuola e il babbo è contento perché hacapito come seguirlo meglio nei compiti. Anche sul versante della socializzazione l'andamento èpositivo; uscito dai messaggi ambigui per attirare attenzioni Nicola sta costruendo le sue relazioni stabili in classe, evitando compagnie nocive e appoggiandosi invece a approdi più sicuri.
La terapia è tuttora in corso (in fase di chiusura) ma il trend è nettamente positivo.
In questi tre contesti, dove sembrava che l'approccio terapeutico non potesse essere utile e la domanda iniziale era di esclusivo valore diagnostico, è stata invece rilevata la domanda implicita, di prendersi cura di relazioni che non funzionavano nel verso giusto. Questo ha guarito molto piùche una diagnosi o un percorso di potenziamento, tipiche proposte conseguenti a una diagnosi di DSA.
I contesti terapeutici sono quindi diventati fantastici e magici da ordinari e programmati quali erano e hanno potuto portare cambiamento laddove i pazienti lo hanno voluto e saputo accettare!
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