Perché essere rifiutati ci fa così male?
Le ferite psicologiche più comuni della nostra vita quotidiana sono quelle che proviamo quando ci sentiamo rifiutati.
Perché essere rifiutati ci fa così male ?
Le ferite psicologiche più comuni della nostra vita quotidiana sono quelle che proviamo quando ci sentiamo rifiutati. Nell’era di Instagram, Facebook, Snapchat, Twitter etc. possiamo essere in connessione con una rete molto ampia di persone, le quali, a loro volta, possono ignorare i nostri messaggi, i nostri post, i nostri profili social esponendoci ad una spiacevole sensazione di rifiuto. Oltre a questi piccolo episodi di rifiuto si aggiungono altre esperienze più significative e devastanti come quando il nostro partner decide di lasciarci, quando veniamo licenziati, quando i nostri amici ci abbandonano, quando i nostri familiari ci chiudono la porta di casa per aver fatto scelte di vita non congruenti con il loro sistema di valori. Il dolore che proviamo in situazioni del genere può essere paralizzante.
Che si tratti di un grosso rifiuto di un lieve rifiuto, una cosa è certa, fa male e talvolta più di quanto ci aspettavamo. La domanda è: perché? Perchè siamo così presi dal fatto che il tizio con cui flirtiamo non ha messo like all'ultimo post delle vacanze di Natale su Instagram tanto da condizionare il nostro umore?
La risposta è che il nostro cervello è strutturato per rispondere in questo modo. Quando veniamo rifiutati, abbandonati o riceviamo una perdita, si attivano le stesse aree del cervello coinvolte nel dolore fisico ossia l'insula anteriore e la corteccia cingolata anteriore. In uno studio di neuroimaging è emerso che queste regioni erano attive quando le persone si sentivano rifiutate dai loro pari. In un altro studio, invece emergeva che queste stesse aree del cervello si attivavano quando a soggetti, che erano appena usciti da una relazione sentimentale, venivano mostrate foto dei loro ex partner.
Perché il nostro cervello è strutturato in questo modo?
Secondo gli psicologi, pare che tutto abbia avuto inizio quando vivevamo di caccia nelle tribù. Dal momento che era impossibile vivere da soli, essere cacciati da una tribù significava essere condannati a morte. Per questo motivo, il nostro cervello ha sviluppato una sorta di segnale di allarme in grado di avvertirci quando stiamo per essere "cacciati via" dalla tribù di appartenenza.
Ma il dolore non è l'unico effetto dell'esperienza di rifiuto, purtroppo a subire danni sono anche la nostra autostima e il nostro umore determinando un aumento di risposta di rabbia e aggressività e destabilizzando il nostro bisogno di "appartenenza". Tuttavia, Il più grande danno che fa il rifiuto è quello che ci infliggiamo da soli, rendendo ancora più vulnerabile un'autostima già di per sé vulnerabile. Di fatto, quando veniamo "scaricati" dal partner, la nostra prima reazione non è la compassione verso noi stessi, ma una tendenza struggente a criticarci, svalutandoci e attribuendoci colpe insensate sulla fine della storia, rinforzando un senso di inadeguatezza, di non valore e di non amabilità. Quando la nostra autostima ha bisogno di un conforto, noi gli diamo praticamente l'ultimo colpo di grazia. Ci sono modi più salutari e funzionali di reagire al rifiuto, in modo da lenire la sofferenza psicologica che ne deriva, per rallentare le reazioni auto-distruttive e rimettere in piedi la nostra autostima.
Abbattere ogni forma di svalutazione e critica verso te stessa/o
Dopo un rifiuto, abbiamo la tendenza automatica a mettere in fila tutte le presunte colpe/responsabilità che avremmo avuto nel determinare un esito così triste per noi. Se rivedere quello che è successo può essere funzionale al fine di evitare di commettere gli stessi errori, punirsi per quanto accaduto non porta da nessuna parte se non alimentare un ciclo disfunzionale di sofferenza psicologica. Se veniamo per esempio "scaricati" al secondo appuntamento perché forse abbiamo parlato troppo della nostra precedente relazione potremmo assumere "la prossima volta, eviterò di parlare del mio ex, tutto il tempo!", piuttosto che trarre giudizi generali svalutanti come "sono proprio una/un perdente!".
Uno dei primi errori che facciamo quando veniamo rifiutati è assumere che si tratti di una questione personale, dimentichiamo che nella maggior parte dei rifiuti entrano in gioco fattori legati alle circostanze e noi spesso c'entriamo poco. Fare attribuzione interna, nel tentativo di capire cosa è andato male è controproducente e soprattutto non veritiero
Attribuirsi valore
Quando la nostra autostima viene abbattuta, è necessario fare una lista di tutte le cose che ci riescono bene, è necessario riappropriarci del nostro valore. Partiamo con trovare cinque qualità personali positive: so ascoltare gli altri, sono un bravo cuoco, sono brava a creare idee nuove, a lavoro ottengo grossi risultati, sono coerente con il mio sistema di valori etc. A questo punto selezioniamo una di queste qualità per scrivere un paragrafo o due, spiegando perché quella qualità è importante per chi ci sta intorno e in che modo possiamo svilupparla in una situazione in particolare. Questo esercizio rappresenta un primo passaggio di supporto per rafforzare la nostra autostima, ridurre il dolore e incrementare la sicurezza di sè che serve per andare avanti.
Alimentare sentimenti che facilitano la connessione sociale
L'essere umano è un animale sociale e come tale ricerca negli altri la soddisfazione dei bisogni di valore e di approvazione. Prima di ogni cosa, la connessione con gli altri risponde al nostro bisogno di appartenenza che viene messo in discussione quando ci sentiamo rifiutati. Per questo, è importante riappropriarci di quel sentimento di connessione con altri quando veniamo rifiutati. Esempio, a lavoro non mi hanno incluso nell'invito a cena, posso sempre contare sul gruppo della squadra di basket con cui mi vedo nei weekend dopo gli allenamenti.
Se un amico non ci risponde ai messaggi, possiamo sempre rivolgerci a chi invece si mostra disponibile e interessato ad interagire con noi. Se veniamo scaricati al primo appuntamento, possiamo sempre contattare la nostra migliore amica e chiedere di passare una serata insieme. L'importante è non confermare credenze disfunzionali di non amabilità, ad esempio: non sono degno di essere amato, nessuno mi vuole bene, non merito l'affetto delle persone etc.- che alimentano emozioni negative.
Il rifiuto è un'esperienza molto dolorosa ma la buona notizia è che possiamo usare strumenti utili a riconoscere quello che ci sta accadendo, cercando di limitare la sofferenza psicologica che ne deriva, senza rinforzare meccanismi di auto-critica e auto-svalutazione. Questo ci permetterà di evitare danni ulteriori all'autostima e ad affrontare con maggiore efficacia esperienze negative che seguiranno nella nostra vita.
Le informazioni pubblicate da GuidaPsicologi.it non sostituiscono in nessun caso la relazione tra paziente e professionista. GuidaPsicologi.it non fa apologia di nessun trattamento specifico, prodotto commerciale o servizio.
PUBBLICITÀ
PUBBLICITÀ
È consolatorio sapere che il rifiuto è un dolore fisiologico intrinseco in ciascuno e non il risultato di traumi di abbandono. Tuttavia io soffro di disregolazione emotiva per me ogni evento è un trionfo o una disgrazia, e il rifiuto mi fa davvero venire dei tonfi al cuore da dubitare della necessità stessa di esistere e cercare di avere delle relazioni.... Devo ripetermi tutto il giorno che non è la fine del mondo e sono "loro" a non capire niente....
Molto interessante. Come potrebbe essere rapportata questa sensazione di rifiuto nel rapporto con un fratello/sorella? È possibile che ci si senta rifiutati anche quando, ad esempio, un fratello/sorella trova un fidanzato? Che cosa può destabilizzare la situazione? Anche in questa situazione potrebbe essere presente un senso di mancanza di appartenenza? Ma soprattutto, se dovesse verificarsi una situazione simile, come potersi sentire meglio? Quanto il dolore del rifiuto dipende dal tipo di rapporto che si ha con il fratello/sorella? Un'ultima domanda: una possibile incrinatura nel rapporto tra due fratelli/sorelle come potrebbe modificare il sistema familiare o quanto questa incrinatura potrebbe dipendere dal sistema familiare? La ringrazio.