Le ricadute sulla salute delle esperienze infantili avverse

Diversi studi evidenziano uno stretto legame tra le esperienze infantili avverse, come la trascuratezza emotiva, episodi di violenza, contesto sociale etc., e la salute psico-fisica delle persone in età adulta.

28 GIU 2023 · Tempo di lettura: min.
Le ricadute sulla salute delle esperienze infantili avverse

L'interesse per le Esperienze Infantili Avverse (trad. "Adverse Childhood Experiences", d'ora in poi indicate "ACE") cresce verso la fine degli anni '90. Per ACE si intende qualsiasi evento potenzialmente traumatico per una persona.

Cosa sono le esperienze infantili avverse?

Il concetto di "ACE" include maltrattamenti, fisici o emotivi, abusi o esposizione prolungata a contesti avversi che, in qualche modo, ostacolano il regolare sviluppo individuale (ad es., status economico-sociale, appartenenza a minoranze etniche, scarse opportunità di sviluppo, contesti violenti etc.).

Felitti e colleghi [1993; 1998] notarono che, in una popolazione di pazienti con obesità, i pazienti che presentavano più episodi avversi nella loro infanzia mostravano un grado di adesione minore a programmi terapeutici. Queste esperienze avverse precoci, possono quindi avere riverbero nel lungo termine sul benessere psico-fisico delle persone.

In che modo le esperienze avverse dell'infanzia influiscono?

Come evidenziato da Anda e colleghi [2010] esiste un rapporto direttamente proporzionale tra la presenza di ACE e stress percepito nel corso della vita, il che predispone a futuri sviluppi di disturbi di salute mentale. Le esperienze avverse occorse durante l'infanzia, periodo molto importante per lo sviluppo cerebrale, possono infatti interferire sullo sviluppo neurologico, sul sistema immunitario e endocrino. Infatti, quando si affrontano situazioni stressanti, il nostro organismo deve far fronte a questi eventi, dapprima con l'attivazione del sistema nervoso simpatico (tensione muscolare, incremento frequenza cardiaca, blocco digestione etc.) e con il rilascio nel sangue di cortisolo e maggior produzione di glucosio, in modo da favorire un'eventuale risposta immediata dei muscoli, come può succedere nelle situazioni pericolose per preservare l'incolumità dell'individuo.

Più l'esposizione è prolungata, più l'organismo tenderà a rimanere costantemente in tensione, cronicizzando la situazione e portando, eventualmente, a disregolazioni neurologiche (in special modo amigdala ed ippocampo, responsabili delle risposte di "attacco-fuga" e della memoria), endocrine (alterazione dei ritmi circadiani e produzione di cortisolo incrementata) ed immunitarie (stress cronico può condurre a infiammazioni che da un lato riducono la risposta immunitaria e, dall'altro, possono poi portare a problemi cardio-vascolari) [Nusslock & Miller, 2016].

Queste alterazioni, ove prolungate, conducono l'organismo in uno stato di costante attesa, ipervigilanza e preoccupazione portando eventualmente allo sviluppo di comportamenti disfunzionali. Sembrano emergere infatti disfunzioni a livello del circuito della ricompensa, per cui i soggetti con ACE tendono ad avere difficoltà nella dilazione della gratificazione, la quale deve essere immediata oppure, a fronte di situazioni avverse, condurre immediatamente a sollievo o emozioni positive, ma anche ad alterate funzioni esecutive.

In che modo le esperienze avverse dell'infanzia influiscono?

Gli effetti negativi delle ACE non sono solo immediati ma anche a lungo termine. Infatti, l'esposizione prolungata ad avversità, in età precoce, porta le persone ad adottare strategie di coping che, inizialmente, possono rivelarsi funzionali ma, nel lungo termine, possono invece risultare deleterie. Queste strategie di coping disfunzionali, sia psicologiche che comportamentali, includono l'uso di alcohol o droghe, comportamenti alimentari disregolati oppure l'evitamento di esperienze reputate stressanti che, col tempo, diminuisce le possibilità di apprendimento di abilità nel fronteggiare le situazioni problematiche, mancata esposizione a stimoli, riflettendosi in un peggioramento del benessere generale dell'individuo [Dube et al., 2003] e, contemporaneamente, contribuisce a rinforzare le strategie disfunzionali stesse andando a diminuire le possibilità di apprendimento di strategie funzionali [Sandler et al., 2000]. Il quadro di modificazioni, comportamentali e neurologiche, appena descritto, va ad alterare significativamente la percezione che un individuo ha di sé all'interno del mondo e del mondo stesso portando allo sviluppo di schemi cognitivi negativi di sé e del mondo e, quel che ne consegue, è una facilitazione nello sviluppo di disturbi depressivi [Segal, 1988].

Questi schemi, infatti, alterano le interpretazioni degli eventi e del mondo, nonché incrementano il pensiero auto-critico e facilitano la presenza di episodi depressivi o depressione "senza speranza" (trad. "hopelessness depression", depressione reattiva) a fronte di nuove avversità [Beck, 1987]. Stili cognitivi negativi sono fortemente associati a difficoltà di regolazione delle emozioni, aspetto transdiagnostico presente in numerosi disturbi come i disturbi dell'umore, disturbo post-traumatico da stress, uso di sostanze stupefacenti e disturbi di personalità [Hofmann et al., 2012].

In letteratura sono presenti molti studi che confermano la diretta relazione tra ACE e lo sviluppo di disturbi dell'umore o d'ansia [De et al., 2013; Heim et al., 2008]. Nello specifico, per i disturbi dell'umore, è emerso che il numero di esperienze avverse è direttamente proporzionale ai disturbi depressivi che una persona può sviluppare nel corso della vita. Gli abusi emotivi dimostrano la correlazione più forte. Tra i soggetti con disturbi dell'umore, così come disturbi d'ansia, le ACE erano associate anche al numero di tentativi di suicidio, ospedalizzazioni precoci, PTSD e uso di sostanze [Lu et al., 2008].

çPer quanto riguarda il PTSD, la precoce esposizione ad ACE contribuisce al suo sviluppo sia per le alterazioni dell'organismo indotte dallo stress poichè uno stato costantemente ipervigile sarà portato a percepire maggiore stress a cui si aggiunge il fenomeno dell'impotenza appresa per cui l'individuo non si sentirà capace di fronteggiare la situazione, aumentando il rischio di "revittimizzazione" [McLaughlin et al., 2001; Stein et al., 2002].

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Scritto da

Dott. Giuseppe Campagna

Bibliografia

  • Anda R. F., Butchart A., Felitti V. J., Brown D. W. (2010) Building a framework for global surveillance of the public health implications of adverse childhood experiences, American Journal of Preventive Medicine, 39(1), 93 – 98;
  • Beck A. T. (1987) Cognitive models of depression, Journal of Cognitive Psychotherapy: An International Quarterly, 1, 5-37;
  • Boullier M., Blair M. (2016) Adverse childhood experiences, Paediatrics and child health, 28:3;

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