Come Marta è riuscita ad affermarsi in un matrimonio in cui da 30 anni sopportava in silenzio
Come si può uscire dalla sofferenza di un matrimonio che da oltre trent'anni genera frustrazione e silenzioso dolore?
"Ho l'ansia, la sento qui sul petto, il cuore mi batte fortissimo. Sono andata di corsa al pronto soccorso convinta di avere un infarto ma il mio cuore sta bene e mi dicono che è ansia", dice Marta (nome di fantasia), donna sposata di 62 anni con tre figli. Tanti primi colloqui iniziano così, con un sintomo che a un certo punto ti fa capire che c'è qualcosa che non sta andando nella tua vita.
Il primo errore che vedo commettere a molte persone è questo: vedere l'ansia solo come un fastidio da rimuovere e che viene gestito con le famose "goccioline". Peccato che l'ansia sia una messaggera (un po' pesante, vero) che viene a dirci che uno o più bisogni importanti per noi non sono soddisfatti. Quello che però molti fanno, è di ignorare il messaggio, prendere le "goccioline" e continuare la vita che stanno facendo senza comprendere cosa l'ansia stia dicendo, quale messaggio stia portando.
Con il risultato che la dose di "goccioline" via via aumenta o esce fuori qualche altro sintomo o devo avere le "goccioline" a portata di mano per quando serve. Altrettanto frequentemente accade che alla domanda: "c'è qualcosa che non va in questo momento nella sua vita?" la risposta sia: "no, sempre tutto uguale, faccio una vita tranquilla".
Poi andando avanti, scopro che Marta, è sposata da 30 anni e vive un matrimonio in cui, da dopo la nascita del terzo figlio il marito ha iniziato a trattarla con sempre maggiore indifferenza e sufficienza: esce, sta via giorni interi, la sera rientra quando vuole, si piazza al cellulare con le cuffie e non vuole essere disturbato. Lei non si è mai permessa di far presenti le cose che non le andavano bene perchè nel corso della sua vita aveva imparato tre cose:
- "non ci si deve arrabbiare";
- "non sono brava a dire la mia nelle discussioni";
- "alla fine io da sola non sono capace di fare un sacco di cose e per tenermi buoni gli altri non mi devo ribellare".
Il risultato è stato che l'indifferenza è aumentata negli anni, sono aumentate le situazioni in cui si sentiva "calpestata" e "non considerata" e in cui non reagiva in alcun modo. Per attenuare la frustrazione aveva iniziato a giustificare il marito dicendo che forse era "stanco dal lavoro" e che il suo carattere era quello e se lo amava doveva accettarlo. Ovviamente gli "alibi" non fecero che peggiorare la situazione.
Nel percorso fatto insieme, Marta è riuscita a mettere a fuoco una prima cosa importantissima: - Il suo non reagire aveva una funzione precisa che alimentava la "dinamica dell'indifferenza". Comprendere di avere una responsabilità le ha fatto guardare la cosa da una prospettiva diversa e acquistare potere personale. Spessissimo nelle relazioni dolorose o conflittuali vediamo l'altro come unica causa del problema ma perdiamo di vista il nostro pezzo di responsabilità nell'alimentare i circoli viziosi.
Successivamente ha fatto altri due passi mettendo a fuoco che:
- la rabbia è una alleata importantissima che informa del fatto che un bisogno è stato calpestato;
- si può esprimere dissenso senza andare allo scontro.
Una volta fatto questo pezzo è andata ancora avanti:
- ha imparato a esprimere dissenso parlando di come certi comportamenti la facevano sentire piuttosto che cadere nella trappola di esprimere dissenso attraverso l'accusa e il giudizio dell'altro.
Oggi Marta ha finalmente imparato a dire a suo marito di trovare inaccettabili alcuni suoi comportamenti; è riuscita a farlo senza piangere, senza soccombere e senza vergognarsi. "Non lo avevo mai visto rimanere in silenzio ed ammettere di avere sbagliato". Quando le ho chiesto come la facesse sentire vedere la sua rabbia come alleata per esprimere dissenso in modo costruttivo mi ha risposto: finalmente più libera, più leggera e l'ansia non c'è quasi più.
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