L'arte di amare: perché sorgono difficoltà nell'amare se stessi e gli altri?
Che cosa significa amor proprio, l'"amore di sé", inteso come autonomo comportamento di rispetto della propria condizione umana? Da dove nasce? In cosa si differenzia dal narcisismo e in che modo?
In questo articolo esploreremo il concetto di Amore nelle varie declinazioni, dall'amore di sé all'amore all'interno delle relazioni. Attraverso una lettura in chiave psicoanalitica, analizzeremo le trasformazioni che questo sentimento ha subìto nel tempo, dal mito all'attuale società moderna.
Come si forma l'amor proprio?
Il primo amore che ogni essere umano incontra nella propria esistenza è quello dei suoi genitori. Il neonato, al momento della nascita, sentirebbe il terrore di morire se un destino clemente non lo preservasse dalla coscienza di quest'ansia causata dalla separazione dalla madre e dalla vita intrauterina. Tutte le esperienze che il bambino fa dalla nascita in poi, quando i suoi bisogni nutritivi, affettivi, relazionali, sono soddisfatti, possono essere sintetizzate in un'unica esperienza: sono amato.
"Sono amato perché sono il bambino della mamma. Sono amato perché sono indifeso. Sono amato perché sono bello e bravo. Sono amato perché la mamma ha bisogno di me. Sono amato per ciò che sono, oppure più precisamente, perché sono".
L'arte di amare, E. Fromm, p. 52
Questa esperienza di essere amato dalla madre è un'esperienza passiva. L'amore materno è incondizionato, non ha bisogno di essere conquistato né di essere meritato. L'amore incondizionato corrisponde a uno dei più profondi aneliti, non solo del bambino, ma di ogni essere umano; d'altro canto essere amati grazie ai propri meriti lascia sempre dei dubbi. I rapporti con il padre sono diversi. Egli ha pochi legami con il bambino durante i suoi primi anni di vita, e la sua importanza per il bambino, in questo primo periodo non può essere paragonata a quello della madre.
L'atteggiamento materno e paterno corrispondono ai bisogni primari del bambino. Egli ha bisogno dell'amore incondizionato e delle cure materne sia psichicamente sia fisicamente. Il bambino, dopo i sei anni, incomincia ad aver bisogno dell'amore paterno, della sua autorità, della sa guida. La madre ha la funzione di renderlo sicuro nella vita, sviluppando così ciò che Bowbly nel 1969, definisce nella teoria dell'attaccamento, cioè la capacità della figura genitoriale di sostenere le sensazioni di sicurezza del bambino. Il padre invece ha la funzione di istruirlo, di insegnargli a battersi con i problemi che dovrà affrontare nella società in cui è nato.
Secondo Fromm, la persona matura è un adulto che è divenuto madre e padre di sé stesso. Ha, per così dire, una coscienza materna e paterna. E' un adulto che si è liberato dalle figure esteriori del padre e della madre e li ha ricreati in sé stesso. In questo passaggio dall'attaccamento materno a quello paterno, e nella loro conseguente sintesi, sta la base della salute mentale e della conquista della maturità.
Il mito di Narciso
Nel libro "Il disagio del narcisismo" di Gabbard e Crisp, viene data un'interessante rilettura del mito di Ovidio. Narciso non sarebbe una persona troppo innamorata di sé stessa ma un uomo che credendo davvero ci sia un'altra persona al di là del riflesso dell'acqua se ne innamora perdutamente. Narciso, sostanzialmente, conosce poco se stesso, a tal punto da non riconoscersi allo specchio e finisce per innamorarsi di qualcuno, o meglio di qualcosa, di un illusione, che è in grado di riflettere la sua idea di amore ideale e perfetto. Il mito, allora, parla più di un mancato riconoscimento che di amore di sé.
Capita frequentemente che i narcisisti siano molto insicuri "circa la propria capacità di amare e di esser amati" e siano alla spasmodica ricerca di altri che possono ammirarli, esserne colpiti, provare empatia per i loro bisogni, confermare la loro eccezionalità e/o servire da oggetto idealizzato che non li umilierà né li farà mai sfigurare". Alcuni si costruiscono una facciata difensiva in modo da evitare, almeno in parte, la sofferenza per il proprio vuoto, e per l'incapacità di ottenere dagli altri la risposta che desiderano. Altri vivono tutta la vita con una ferita aperta e con un dolore che non da loro tregua, e si sentono attaccati da ogni parte. Molti si collocano su un continuum fra i due estremi, con variazioni che dipendono dalle cause di stress contingenti, e dallo specifico contesto della loro vita.
L'arte di amare
Erick Fromm (1900/1980) psicoanalista, filosofo tedesco, paragona l'amore ad un'arte, che richiede sforzo e saggezza. Se vogliamo sapere come amare dobbiamo procedere allo stesso modo come se volessimo imparare qualsiasi altra arte, come la musica, la pittura, la medicina o l'ingegneria.
"L'amore maturo è unione a condizione di preservare la propria integrità, la propria individualità. L'amore è un potere attivo dell'uomo; un potere che annulla le pareti che lo separano dai sui simili, che gli fa superare il senso di isolamento e di separazione, e tuttavia gli permette di essere se stesso e di conservare la propria integrità. Sembra un paradosso ma nell'amore due esseri diventano uno, e tuttavia restano due" (p.36).
I tre aspetti dell'amore secondo Fromm:
- Responsabilità, non inteso come il dovere, qualche cosa imposta dal di fuori ma come un atto strettamente volontario, di rispondere al bisogno espresso o inespresso, di un altro essere umano;
- Rispetto, (da respicere, guardare) la capacità di vedere una persona com'è, di conoscerne la vera individualità. Il rispetto è possibile solo se si ha raggiunto l'indipendenza, se si è in grado di stare in piedi senza grucce, senza dover dominare o sfruttare l'altro. Il rispetto esiste solo sulle basi della libertà;
- Conoscenza, il conoscere, in quanto aspetto dell'amore, non si ferma alla superficie ma penetra nell'intimo.
"Noi crediamo di conoscerci, eppure, ad onta dei nostri sforzi, non ci conosciamo affatto; crediamo di conoscere i nostri simili, eppure non li conosciamo, perché noi non siamo un oggetto, e neppure i nostri simili lo sono. Più penetriamo nel nostro intimo, o nell'intimo di un altro essere, più la metà ci sfugge. Eppure non possiamo fare a meno di desiderare di penetrare nel segreto dell'animo umano, nel suo più profondo nucleo". (p. 43).
L'unico modo per conoscere profondamente un essere è l'atto di amore; questo atto supera il pensiero, supera le parole. Per conoscere pienamente nell'atto d'amore devo conoscere l'altro e al contempo anche me stesso.
Premura, responsabilità e comprensione sono strettamente legate tra di loro. Sono un complesso di virtù che fanno parte di una personalità matura, di una persona che sviluppa proficuamente i suoi poteri, che sa quello che vuole, che ha abbandonato sogni narcisistici di onniscienza e onnipotenza, che ha acquisito l'umiltà fondata sulla forza intima che solo l'attività produttiva può dare.
L'amore nella società contemporanea
"L'arte di amare" di E. Fromm è un'opera scritta nel 1957, tuttavia risulta attualissima nella società occidentale contemporanea. L'Autore fa un'interessante riflessione rispetto al concetto di amore in una società capitalistica come la nostra. Paragona l'amore ad un "oggetto" da acquistare, come faremmo per qualcosa che desideriamo. Oggi l'amore diviene un oggetto tra gli oggetti, una cosa tra le cose, perde il valore qualitativo per divenire qualcosa di quantificabile. In una società ipertecnologica come la nostra, in cui risulta più importante l'apparire e il possedere, il nobile concetto dell'amore, viene disintegrato, perde di significato.
"L'uomo moderno è staccato da se stesso, dai suoi simili, dalla natura. E' stato trasformato in un oggetto, sente le sue forze vitali come un investimento che gli deve dare il massimo profitto ottenibile dalle condizioni di mercato del momento. Le relazioni umani sono essenzialmente quelle degli automi, ognuno dei quali basa la propria sicurezza tenendosi vicino al gregge e non divergono nel pensiero, nei sentimenti o nell'azione. Mentre ognuno prova a essere il più vicino possibile agli altri, ognuno rimane disperatamente solo, pervaso da un profondo senso d'insicurezza, ansia e colpa, che si verificano quando la separazione umana non può essere vinta. La nostra società offre molti palliativi che aiutano le persone a essere «coscientemente inconscia» di questa solitudine: la routine del lavoro e la routine del divertimento". (p.94)
Visto che l'amore è un'arte, per poterla apprendere, come qualsiasi altra forma d'arte, bisogna praticare, scrive l'autore. Ci da alcuni ingredienti fondamentali:
- Innanzi tutto la pratica di un'arte richiede disciplina;
- Concentrazione, che è rara nella nostra società "multitasking";
- Pazienza, considerando che il nostro intero sistema industriale si basa sull'opposto: la rapidità;
- Supremo interesse, se l'arte non è qualcosa di suprema importanza, l'apprendista non imparerà mai;
- Sensibilità verso se stessi, ascoltare la propria voce interiore, guardarsi dentro, prendersi cura dei propri processi mentali, emotivi;
- Superamento del proprio narcisismo, il polo opposto del narcisismo è l'obiettività, la facoltà di vedere gli altri e le cose così come sono, e di essere in grado di separare questo quadro obiettivo da un quadro formato dai propri desideri e timori.
Conclusioni
Vorrei concludere infine, con una splendida poesia di Charlie Chaplin del 1940, dal titolo "Quando ho cominciato ad amarmi davvero". Quando ho cominciato ad amarmi davvero
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare,
mi sono reso conto che il dolore e la sofferenza emotiva
servivano a ricordarmi che stavo vivendo in contrasto con i miei valori.
Oggi so che questa si chiama autenticità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare,
ho capito quanto fosse offensivo voler imporre a qualcun altro i miei desideri,
pur sapendo che i tempi non erano maturi e la persona non era pronta,
anche se quella persona ero io.
Oggi so che questo si chiama rispetto.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare,
ho smesso di desiderare una vita diversa
e ho compreso che le sfide che stavo affrontando erano un invito a migliorarmi.
Oggi so che questa si chiama maturità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare,
ho capito che in ogni circostanza ero al posto giusto e al momento giusto
e che tutto ciò che mi accadeva aveva un preciso significato.
Da allora ho imparato ad essere sereno.
Oggi so che questa si chiama fiducia in sé stessi.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare,
non ho più rinunciato al mio tempo libero
e ho smesso di fantasticare troppo su grandiosi progetti futuri.
Oggi faccio solo ciò che mi procura gioia e felicità,
ciò che mi appassiona e mi rende allegro, e lo faccio a modo mio, rispettando i miei tempi.
Oggi so che questa si chiama semplicità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare,
mi sono liberato di tutto ciò che metteva a rischio la mia salute: cibi, persone, oggetti,
situazioni
e qualsiasi cosa che mi trascinasse verso il basso allontanandomi da me stesso.
All'inizio lo chiamavo "sano egoismo", ma
oggi so che questo si chiama amor proprio.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare,
ho smesso di voler avere sempre ragione.
E cosi facendo ho commesso meno errori.
Oggi so che questa si chiama umiltà.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare,
mi sono rifiutato di continuare a vivere nel passato
o di preoccuparmi del futuro.
Oggi ho imparato a vivere nel momento presente, l'unico istante che davvero conta.
Oggi so che questo si chiama benessere.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare,
mi sono reso conto che il mio Pensiero può
rendermi miserabile e malato.
Ma quando ho imparato a farlo dialogare con il mio cuore,
l'intelletto è diventato il mio migliore alleato.
Oggi so che questa si chiama saggezza.
Non dobbiamo temere i contrasti, i conflitti e
i problemi che abbiamo con noi stessi e con gli altri
perché perfino le stelle, a volte, si scontrano fra loro dando origine a nuovi mondi.
Oggi so che questa si chiama vita.
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Credo che questa analisi sia troppo sbilanciata su alcuni assunti piscoanalitici. L'amore verso se stessi ha una forte componente genetico-strutturale legata alla personalità di ciascun individuo. Ognuno nasce con certe caratteristiche, chiamiamoli tratti, che sono riassumibili nei 5 tratti del modello BIG5. Tra i 5 ce ne sono due: il neuroticism e l'estroversione. che spiegano la cosiddetta "autostima", l'amor proprio. Il primo tratto, il neuroticism, è collegato alle emozioni negative (tristezza, paura, ansia, rabbia, eccc...) e il secondo, l'extraversion, a quelle positive (gioia, entusiasmo, visione positiva del futuro ecc...). Chi è molto neurotic e poco extraverted e ha il massimo di sensibilità alle emozioni negative e il minimo di sensibilità a quelle positive è inevitabilmente afflitto da una continua insoddisfazione personale. Tenderà a vedersi sempre in difetto e sarà molto critico verso se stesso e verso gli altri. Sarà anche molto autoriflessivo, avrà una forte autoconsapevolezza che alimenterà il duro giudizio verso sé. Questo è un po' l'opposto di ciò che la psicologia del profondo ha sempre sostenuto, cioè: analizza te stesso e sarai sereno. La nostra mente non funziona così: più ragioniamo e analizziamo le nostre vite e noi stessi e più saremo tristi e insoddisfatti. E sono proprio le persone molto neurotic e poco extraverted che tendono all'autoriflessione continua. Quelle persone, strutturalmente, non avranno mai una grande "autostima". L'attaccamemto e le prime esperienze di vita hanno meno impatto: paiono concetti sopravvalutati in psicologia.
Amare è un arte e là si impara col tempo; Sono d’accordo con lei… grazie